“Essere controcorrente non è illegale. Non ancora“. Perché fare un altolà tanto agghiacciante in una nazione tra quelle cosiddette democratiche?
Perché le ultime direttive firmate Commissione Europea non sono per niente rassicuranti in tal senso. “Le minacce derivanti dalla disinformazione online si evolvono rapidamente, per cui dobbiamo intensificare la nostra azione collettiva per responsabilizzare i cittadini e proteggere lo spazio informativo democratico”. Tutto giusto – in teoria – quanto disse la vicepresidente Vera Jourova nel 2021. Giusto fin quando non si scopre che le sanzioni non riguardano chi viola la legge o il codice deontologico, ma semplicemente chi si permette di contraddire un’organizzazione sanitaria finanziata da privati financo mettere in discussione le restrizioni alla libertà esercitate in questo biennio.
E quali sarebbero le tecniche di contrasto al vaglio della vicepresidente della Commissione Europea? Nel comunicato stampa del 26 maggio 2021 ne scopriamo una che ci interessa particolarmente: demonetizzare la disinformazione.
“Non ti chiudono però”, obietterà qualcuno, “continui ad esistere”. Ignorando poi totalmente che “esistere” nel mondo dell’informazione vuol dire innanzitutto avere sostentamento per il proprio lavoro.
Ed è sempre più il modus operandi delle leggi e dei giganti del web: la censura “morbida” che fa condividere notizie ma non le fa apparire nelle bacheche altrui oppure annulla gli introiti derivanti dalla pubblicità la fa da padrone nel pieno silenzio dell’opinione pubblica. Fin quando poi non si passa allo step successivo.
L’editoriale di Fabio Duranti a ‘Un Giorno Speciale’.
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