L’articolo 21 della nostra Costituzione è il fondamento di una società civile consapevole e responsabile. Combattere la disinformazione è giusto. Ma come?
Nascondendo chi se ne macchiasse? Stabilendo arbitrariamente cos’è (o chi è) disinformazione e informazione? Oppure la combattiamo facendo cultura, lasciando che sia il pubblico a stabilire chi ritiene autorevole e chi meno? Ovviamente non parliamo dei casi gravi e lapalissiani, né delle manipolazioni chiare di una notizia.

Pensiamo ad esempio al periodo Covid. Si arrivò a dire che la disinformazione genera morti, ma il sonno della ragione genera mostri. Così come quello dell’informazione, quando un Presidente del Consiglio disse “muori e fai morire” e nessuno ribatté, e a chi si criticò venne riservato lo scherno.

Oggi la Commissione Europea ha scelto come rispondere a tutto questo. Cambio di rotta? Macché.
Sono diverse le missive inviate alla nostra emittente in cui si paventa tutt’altro che il rispetto per il pluralismo. Già nel 2021 Vera Jourova dichiarò che “le minacce derivanti dalla disinformazione online si evolvono rapidamente, per cui dobbiamo intensificare la nostra azione collettiva per responsabilizzare i cittadini e proteggere lo spazio informativo democratico.
E quali sarebbero le tecniche di contrasto al vaglio della vicepresidente della Commissione Europea?
Nel comunicato stampa del 26 maggio 2021 della Commissione ne scopriamo una che ci interessa particolarmente: demonetizzare la disinformazione.

Entrerà ora nel vivo la causa dei sottoscritti con questi signori“: a ricordarlo in diretta Fabio Duranti, per portarci sul punto clou della questione: “Se questi principi passano anche il vaglio di politica e magistratura siamo fritti“.
E stiano ben attenti a sentirsi al sicuro anche i grandi. Già perché il caso Silicon Valley insegna: licenziati a migliaia i dipendenti che progettavano – anche – gli algoritmi di censura. Chissà che un domani le prestigiose penne non possano essere sostituite da ChatGPT.