Un lavoratore è morto d’infarto mentre stava lavorando in un magazzino Amazon e i dipendenti, lungi dall’essere stati avvisati, hanno continuato a lavorare come se nulla fosse a fianco del deceduto che era stato coperto con cartoni. Chissà, forse perché non si interrompesse il lavoro, forse perché le ragioni del profitto non venissero messe pro-tempore a tacere da ragioni evidentemente considerate non all’altezza come quelle della vita umana. In ogni caso, vi sono davvero alcune considerazioni che non possiamo esimerci dallo svolgere e che riguardano la condizione del lavoro. Il rapporto sulla condizione del lavoro al tempo del global capitalismo, cioè in un tempo che già nel 1989 si era propagandato come il compimento della libertà eterna, come il superamento delle contraddizioni oscene che avevano insanguinato l’intera vicenda storica umana e a maggior ragione il Novecento.

Insomma, sembrava che la storia finalmente si fosse realizzata, compiuta secondo il modello di un Fukuyama lettore di Kojève, l’end of history. E invece ci troviamo ora in una situazione come quella delineata, quella in cui un lavoratore muore mentre sta lavorando e per non interrompere il ciclo della valorizzazione del valore, viene lasciato lì dov’è coperto con un cartone, acciocché i lavoratori intorno a lui non interrompano la catena del lavoro e seguitano a generare profitto. Allora dobbiamo domandarci una volta di più se questo sia davvero un modello dignitoso di società, se sia davvero questo il meglio che la società possa proporci, se davvero possiamo parlare di libertà e di uguaglianza in un tempo come il nostro, in cui ancora si muore al lavoro in condizioni come quelle testé descritte. La verità è che il capitalismo non produce soltanto l’intollerabile, come è evidente a tutti. Produce altresì a un sol parto soggetti disposti a tollerarlo, financo fieri di sopportarlo perché convinti di vivere pienamente nel migliore dei mondi possibili.

Quello che ha superato le arcaiche forme di produzione medievale, quello che ha oltrepassato gli osceni regimi rossi e neri del Novecento, quello che infine ha reso possibile il dispiegamento dell’eterna libertà dell’uomo, appunto la libertà di morir di fame o di morire al lavoro nelle condizioni suddette. È questa l’essenza del capitalismo che produce però non solo l’intollerabile, dicevo, ma anche soggetti disposti a tollerarlo, fieri, con ebete euforia e con stolta letizia di vivere in questo, che pensano essere il migliore dei mondi possibili, o secondo le introiettate logiche neoliberali come il solo mondo possibile del riso alternative non c’è altra possibilità se non quella del capitalismo. Cosicché, se esso vi appare contraddittorio, ebbene, non potendolo modificare, poiché non c’è alternativa, lavorate su voi stessi, siate resilienti e sopportate meglio il mondo così com’è. Poco importa poi se capiteranno scene come quella capitata nel magazzino di cui abbiamo discusso, perché in fondo vivete pur sempre nel migliore dei mondi possibili e dopo tutto dovete essere in grado di apprezzarlo. Questo è il sunto del discorso e dell’ideologia che continua, nemmeno troppo larvatamente, a permeare e a colonizzare gli animi degli abitatori della cosmopoli, a reificazione, a sfruttamento integrale.

Radioattività con Diego Fusaro Lampi del pensiero quotidiano