Un magistrato dell’Aquila ha dichiarato illegittima la sospensione dal lavoro di una dipendente che non voleva farsi l’iniezione. L’ASL aquilana dovrà versare alla dipendente la retribuzione negata con tanto di interessi e rivalutazioni, pagandole 2500 euro di spese legali (IVA esclusa).
La cosa importante della decisione del giudice Cruciani sono le motivazioni. Cosa dice il magistrato? Che qui non si sta valutando la legittimità dell’obbligo vaccinale, perché sa che questo spetta alla Consulta. Stiamo invece valutando la legittimità della sospensione dal lavoro: “A una valutazione costituzionalmente orientata non vi è alcuna norma di legge, né potrebbe mai esserci, che imponga un obbligo vaccinale contro il Covid per prestare lavoro per determinate categorie di lavoratori o per lavoratori in una determinata fascia d’età“.

L’imposizione è un tale obbligo se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione del contagio“, scrive il giudice.
A norma di legge dunque neppure il decreto del Governo Draghi avrebbe potuto imporre l’iniezione obbligatoria per alcuni lavoratori: “Lo Stato italiano“, dice il giudice, “si fonda sul lavoro e collega a questo la dignità personale dell’essere umano, limite invalicabile alla luce dell’obbligatorietà del trattamento sanitario di cui all’Art. 32“.
C’è solo una condizione, come già scrisse la Corte Costituzionale nel 1990 parlando del vaccino anti-polio: si può imporre il siero solo nel momento in cui è in grado di schermare dalle infezioni, dunque di far sparire la malattia. Con tanti saluti a chi spingeva sui giudici della Consulta citando proprio il caso vaccino anti-polio.

Parole di cui la Consulta, oggi chiamata a decidere sulla costituzionalità dell’obbligo vaccinale, dovrebbe tenere conto. La sensazione è che non lo farà, ma almeno c’è un giudice a L’Aquila che ha messo tutto nero su bianco.