La storia della Lazio riposa a Prima Porta. Chinaglia, Wilson e Maestrelli insieme in eterno. Il primo giorno d’aprile del 2012 Long John abbandonava la vita terrena per entrare definitivamente nella leggenda.

I cuori biancocelesti non smetteranno mai di battere per gli eroi del ’74. Quel gruppo pazzo, diviso in clan, litigioso per una settimana intera che però la domenica firmava l’armistizio per soli 90 minuti. Giusto il tempo di annichilire gli avversari e festeggiare a fine partita. Una compagnia spesso sbandata richiamata all’ordine da un padre putativo dotato di una pazienza infinita. Tommaso Maestrelli era così: calmo, pacato, dialogante, pacifico e pacifista al timone di un collettivo denso di caratteri vulcanici.

Il Maestro e Giorgione. Chinaglia intraprende la strada calcistica da giovanissimo in Galles, paese adottivo della sua famiglia migrante di origini toscane. Due stagioni di apprendistato nello Swansea e poi lo sbarco nello stivale con una prima esperienza in Serie C nella Massese. Nel 1967 il passaggio all’Internapoli. In Campania il bomber incontra colui che diventerà allo stesso modo una bandiera laziale: Pino Wilson. Due amici fraterni che a partire dalla stagione 1969-1970 condividono gioie e dolori tra Tor di Quinto e l’Olimpico. Il settennato di Long John in biancoceleste prende il via con i 14 gol complessivi della prima stagione, quella il ritorno nella massima serie. Dopo il dignitoso ottavo posto, nel 1970-71, ecco la doccia fredda della retrocessione in cadetteria.

Mister Juan Carlos Lorenzo paga per tutti e saluta la compagnia. L’ambiente è scettico e stufo dei ripetuti fallimenti agonistici. In estate il patron Umberto Lenzini prova la carta del rampante Tommaso Maestrelli. Il mister di Pisa, infatti, si era messo in luce sulle panchine di Reggina e Foggia conquistando anche il prestigioso premio ‘Seminatore d’oro‘ grazie ai lodevoli risultati ottenuti con i calabresi. La favola laziale parte da qui. Il secondo posto, alle spalle della Ternana di Viciani, decreta il salto in A. La gente torna ad abbracciare i suoi beniamini. Nella stagione ’72-’73 il grande sogno svanisce per soli due punti al tramonto del torneo. Fatale sarà il San Paolo di Napoli, con il contemporaneo successo della Juventus di Vycpalek ai danni dei cugini della Roma. La festa, però, è solo rinviata.

Siamo solo all’antipasto del mito. Quella è una Lazio totale ispirata alla spumeggiante Olanda di Johan Cruijff. La filastrocca è presto servita: Pulici, Wilson, Petrelli, Oddi, Martini, Nanni, Re Cecconi, Frustalupi, Garlaschelli, D’Amico, Chinaglia. Senza dimenticare i vari Facco, Manservini e Franzoni. “Questo è l’anno buono” dicono sicuri a Tor di Quinto. Sarà proprio Giorgio a mettere il punto esclamativo sullo scudetto nel match contro il Foggia. Il penalty della vita che, in un colpo solo, zittisce Juventus e Napoli. Il 12 maggio 1974 al triplice fischio dell’arbitro Panzino la Lazio è campione d’Italia.

Dal club alla Nazionale il passo di Chinaglia non è stato ugualmente ricco di soddisfazioni. Nel Mondiale in terra tedesca le cose vanno a rotoli fin dal principio. La truppa azzurra esce nel girone inaugurale per mano di Argentina e Polonia. Nel match d’esordio, vinto 3-1 in rimonta contro Haiti, va in scena il gestaccio della discordia. Long John non prende di buon grado la sostituzione con Anastasi e manda candidamente a quel paese il CT Valcareggi oltre al resto della panchina italiana. Pro e contro di una carriera chiusa, dal gigante di Carrara, nel torneo NASL con la casacca dei New York Cosmos. Da sottolineare anche una breve ma significativa esperienza vissuta nel Villa San Sebastiano nel torneo di Seconda Categoria tra il 1990 ed il 1991.

La successiva avventura da dirigente, caratterizzata sovente da controversie anche di natura giudiziaria, non rende onore ad una figura calcisticamente immensa. Oggi i tre simboli laziali guardano tutti dall’alto nel firmamento biancoceleste. Tommaso, Pino e Giorgio: tre fratelli uniti da un’aquila che vola.

Alessandro Iacobelli