Il caso nasce durante la trentesima edizione della Partita del cuore, quando Aurora Leone, l’attrice comica del famoso gruppo The Jackal, viene cacciata dal tavolo dei giocatori in quanto donna. L’accaduto ha scatenato una bufera mediatica, tanto da spingere la stessa Fondazione Ricerca Cancro a dissociarsi da quanto successo.

Aurora Leone ha racconta l’episodio tramite un video sui social, specificando che, durante la cena nazionale cantanti, si è avvicinato a lei il Direttore Generale della nazionale Gianluca Pecchini, invitandola ad andare via dal tavolo dei calciatori perché “non aperto alle donne”. A seguito dell’accaduto, gli altri giocatori e i vari direttori hanno preso una netta posizione a favore della ragazza, scusandosi e mostrandole vicinanza per l’increscioso episodio. In primis Eros Ramazzotti che si è rifiutato di giocare, seppur contribuendo ugualmente alla beneficienza.

Luigia Luciani e Stefano Molinari hanno intervistato la giornalista sportiva Francesca Sanipoli sul Caso Aurora Leone: “Io ho scelto di scrivere di sport perché all’epoca credevo, ingenuamente, che fosse l’unica attività umana dove il più bravo avrebbe avuto la garanzia di vincere. Poi ho scoperto che non è così sempre”. Le discriminazioni all’interno degli ambienti sportivi sono ancora all’ordine del giorno, ma, come sottolineato proprio da Sanipoli durante l’intervista, bene che se ne parli. Ecco le sue riflessioni a “Lavori in corso”.

“Quando ho iniziato a occuparmi di sport, su un giornale che era il Messaggero, sembravo un fenomeno da baraccone. Ma quelle che scrivono di moda, glielo chiedete come mai lo fanno? Io ho scelto di scrivere di sport perché all’epoca credevo, ingenuamente, che fosse l’unica attività umana dove il più bravo avrebbe avuto la garanzia di vincere. Poi ho scoperto che non è così sempre.

Negli spogliatoi di pallone si entrava fisicamente (durante le interviste) e lì nessuno si è mai sognato di dirmi ‘Francesca non entra perché è una donna’. Io entravo, semplicemente venivano avvisati i giocatori della Roma e della Lazio che dovevo entrare e loro si mettevano l’accappatoio. Io ero trattata esattamente come i colleghi maschi, parliamo del 1980, quando poi la Roma vinse lo scudetto. Addirittura eravamo più evoluti se vogliamo, una cosa del genere all’epoca non era neanche pensabile.

Nel nostro mestiere ci sono tantissime ragazze molto carine, che fanno le giornaliste di sport e di qualunque cosa, ma qualcuno si è mai posto il problema se i nostri colleghi maschi fossero belli o dei mostri? Devono andare avanti non i belli ma i capaci. Se poi le due cose coincidono questo non deve essere un problema a monte.

Il riferimento a Diletta Leotta e il suo modo di vestire? Ognuno ha diritto di vestirsi come vuole. Io ho avuto da ridire da personaggi persino sul colore dei miei piumini. Figurati Diletta, quanto potranno avere da ridire su qualunque cosa e ha fatto bene lei a non rispondere.

Fanno benissimo le persone che le denunciano. Tempo fa qualcuno magari sarebbe stato zitto per non trovarsi in mezzo a un vespaio o polemizzare. Inoltre se tu denunci la nefandezza e sei donna vieni quasi colpevolizzata”.

Pierluigi Lantieri