Mentre qualcuno ingenuamente si illude che manchino due settimane al ritorno alla agognata normalità, esce una nuova lista di raccomandazioni medico-sanitarie significativamente intitolata “Indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in tema di varianti e vaccinazione'”.

Tra queste raccomandazioni, a tratti palesemente surreali, compare il distanziamento sociale portato a ben 2 metri allorché si sta mangiando, si sta bevendo o semplicemente per una ragione o per un’altra ci si trova senza la mascherina sul volto. Oltre a ciò, si sostiene anche la necessità della quarantena anche per chi sia stato vaccinato, qualora abbia avuto un contatto con una persona contagiata. Insomma, il nuovo ordine terapeutico non allenta la presa: anzi, pare che vada vieppiù rinsaldandola.

Ciò dà luogo, in forme sempre più visibilmente autoritarie, a un controllo sempre più stringente e invasivo sopra e sotto la pelle degli individui, già da tempo ridotti al rango di pazienti che non possono sottrarsi alle cure imposte per legge. Il paradosso, uno dei tanti, che stiamo scontando da ormai un anno sulla nostra carne viva è da ravvisarsi nel fatto che siamo improvvisamente passati dal diritto alla salute alla inedita figura del dovere alla salute: ora, se il diritto alla salute è una peculiarità degli ordinamenti democratici, il dovere alla salute, comunque lo si voglia intendere, pare difficilmente coniugabile con la democrazia e con quel rispetto delle libertà individuali su cui essa dovrebbe propriamente fondarsi. Non stupisce soltanto l’ordine sempre più biopoliticamente invasivo del potere, che ora gestisce e amministra la nuda vita di tutti e di ciascuno.

A destare meraviglia è anche, in misura non certo inferiore, il generale grado di accettazione – ora depressivamente rassegnato, ora stoltamente euforico – da parte delle cavie ignare di questo immenso laboratorio sociale e biopolitico del quale siamo ormai da un anno prigionieri. La strategia, come non mi stanco di sottolineare, è semplice e al tempo stesso efficace: far credere alle cavie che ogni forma di repressione, di violenza, di oppressione e di annientamento delle libertà e dei diritti non sia volto al potenziamento del potere stesso, ma, al contrario, sia per il bene delle cavie. Volto cioè a proteggere la loro vita in pericolo, a garantire che il loro bios possa sopravvivere nonostante la tempesta dell’emergenza epidemiologica in corso. Grazie a questo stratagemma, che variando una nota formula hegeliana potremmo chiamare “l’astuzia della ragione sanitaria”, le vittime amano i carnefici. Infatti sono indotte a ritenere che i carnefici agiscano sempre soltanto per il bene delle vittime stesse. È quello che da mesi chiamo il nuovo regime protettivo: ogni quota di libertà soppressa corrisponderebbe, secondo la narrazione egemonica condotta dal suddetto regime protettivo, a una quota di sicurezza della vita garantita.

Ebbene, mentre dall’Inghilterra ci giunge già notizia della quarta ondata, prevista per l’autunno del 2021, apprendiamo anche che l’imminente Pasqua non soltanto sarà funestata, come quella del 2020, dal lockdown: una circolare recentissima del Viminale ha già dato istruzione circa la necessità di inasprire e intensificare i controlli nel periodo pasquale, di modo che sia preventivamente disincentivata ogni possibile idea di festeggiamento e di riunione familiare. Per quanto tempo ancora si potrà accettare questo vivere, che non è più un vivere?

In sintesi, e concludendo, dipenderà da noi e soltanto da noi la possibilità di riprenderci tutto e di riconquistare una vita degna di questo nome. Solo con l’organizzazione di una forma di opposizione contro il nuovo regime terapeutico diventerà possibile riconquistare le libertà e i diritti sottratti.

RadioAttività, lampi del pensiero con Diego Fusaro