Come fanno i bambini a neutralizzare il virus? Dall’inizio dell’epidemia un po’ tutti si sono chiesti perché i più piccoli, nonostante la loro apparente fragilità, siano i soggetti che soffrono di meno il virus Sars-Cov-2. A giungere a una soluzione scientifica al quesito sono stati gli scienziati dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesu che, insieme all’Università di Padova e all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, hanno pubblicato su Cell Reports una ricerca che identifica per la prima volta le caratteristiche immunologiche dei pazienti che meglio reagiscono al covid.

L’importanza dei risultati ottenuti da questo studio è stata illustrata ai microfoni di Luigia Luciani e Stefano Molinari dal dottor Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù, che ci ha detto che “non è necessario solo parlare di positività di un bambino, ma anche del numero di copie virali che questo bambino alberga a livello natale e quanto queste copie correlino con la capacità infettiva”.

Questo l’intervento del Dr. Palma a “Lavori in corso”.

“Uno dei meccanismi che abbiamo descritto nel nostro lavoro, fatto in collaborazione con l’Università di Padova e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, è la capacità di alcuni bambini di neutralizzare in tempi molto brevi (già a una settimana dall’infezione acuta) la replicazione virale. E’ questo è un dato importante perché ci permette di capire quali sono le caratteristiche immunologiche di questi bambini e anche di andare a misurare degli elementi che saranno molto utili nelle prossima campagna vaccinale.

In questo lavoro noi dimostriamo una cosa molto importante: non è necessario solo parlare di positività di un bambini, ma anche del numero di copie virali che questo bambino alberga a livello natale e quanto queste copie correlino con la capacità infettiva. In altre parole, la sfida del futuro è identificare il numero di copie che correla con la capacità infettiva di un individuo. Questo ci permetterà di snellire di molto la gestione negli ospedali dei pazienti infetti. Ci permette anche di avere un criterio per accorciare la misura restrittiva, quindi la quarantena.

Non dobbiamo andare verso una capacità di personalizzare il nostro intervento anche di restrizione, altrimenti rimarremo sempre con questo sistema a colori. Bisogna capire qual è la capacità infettiva di un individuo perché uno può essere paradossalmente positivo, ma non essere infettivo. E’ un aspetto importante perché determina una gestione totalmente diversa di questi individui dal punto di vista intraospedaliera, intrafamiliare, intrascolastica”.