Italia contro Svezia, linea dura contro suggerimenti e raccomandazioni: al netto dei dati di un intero anno di pandemia, è possibile fare un resoconto e stabilire quale tra i due sistemi sia stato più efficace per combattere il Covid?

Le informazioni sulla tanto discussa Svezia che arrivano dai giornali parlano di una situazione a dir poco catastrofica. Da mesi si cerca di capire quali siano davvero le condizioni in cui si trova in questo momento il paese scandinavo. E a fronte del quadro tragico che i media sembrano riproporre con costanza, le testimonianze dirette che arrivano dal paese delineano circostanze di tutt’altra natura.

Ai nostri microfoni è intervenuto il già docente di virologia al Karolinska Institutet di Stoccolma, psichiatra e responsabile Covid di reparto dell’ospedale svedese Prof. Rosario Leopardi per raccontare la sua esperienza. In questa intervista di Francesco Vergovich e Fabio Duranti i dettagli sul modello svedese e i motivi dell’insuccesso del modello italiano.

“Quello che non si è fatto in Italia e che invece si è fatto in Svezia fin dall’inizio è distinguere le classi di rischio. Dunque gli anziani, tutte quelle persone che hanno malattie cardiorespiratorie e cardiovascolari, gli obesi e i diabetici. C’è una casistica enorme, sappiamo quali sono i soggetti a rischio e quali non lo sono.

Raggiungere l’immunità di gregge sugli individui non a rischio è un’idea che molte nazioni hanno portato avanti, tra cui la Svezia.

In Svezia le classi a rischio sono state blindate, si è fatto in modo che non venissero in contatto col virus. Come? Gli anziani sono pensionati quindi possono essere protetti con facilità, i soggetti a rischio in età lavorativa invece li hanno messi in malattia sin dall’inizio. Chi può lavora da remoto, per chi non può lo Stato ha stanziato un’indennità e riceve un piccolo stipendio.

Farlo anche in Italia avrebbe portato un risultato totalmente diverso, con una spesa molto più bassa, senza impattare in maniera così significativa il Pil della nazione.

Una scelta di questo tipo ha fatto in modo che noi qui in Svezia marciamo quasi come nella norma. Con delle difficoltà naturalmente, perché il problema esiste. La Svezia non è negazionista, abbiamo un sacco di casi. Però è un problema che è approcciabile in maniera razionale”.