L’idea che il danno dipenda dalla dose, giustifica il fatto che piccole menzogne quotidiane creino alla fine una indiscussa verità.
Vivremmo nel migliore dei mondi possibili. Il sistema capitalistico sarebbe l’unico realizzabile. E non si può uscire dall’euro, altrimenti ci sarebbero le invasioni bibliche delle cavallette d’Egitto.

Se qualcuno fa notare che, dati alla mano, queste ripercussioni negative sono già realtà, l’obiezione immediata è: “Se non si fosse fatto così – come impone il pensiero unico – sarebbe andata molto peggio“.
Dato che non esiste la controprova, la gente si abitua a pensare di essersi salvata perché sta soltanto molto male.

Così si indottrina il popolo alla sofferenza, perché il ragionamento è che “artificia docuit fames” («La fame insegna a ingegnarsi»). Lo stesso poeta Ovidio, riprese il detto latino scrivendo che “ingenium mala saepe movent”. Publio Ovidio Nasone, uno dei massimi esponenti della letteratura latina, insegnava quindi che i mali spesso aguzzano l’ingegno.
Il problema è quello “spesso”. Se quel saepe diventa la condizione naturale del sistema economico.

Allora la regola generale diventa che la sofferenza globale serve ad aguzzare l’ingegno di chi soffre al fine non dichiarato di salvare il sistema stesso, finalizzato all’accumulazione sfrenata della ricchezza degli altri. Dei pochi.

Difatti nella letteratura globale e nelle enciclopedie è entrata la frase di un banchiere, il famoso “whatever it takes”.
Significa che salvare una moneta, e non il popolo, giustifica ogni mezzo. Sia chiaro: ci si è mossi per salvare l’euro. Non ho visto lo stesso entusiasmo del soggetto che ha pronunciato quella frase per il povero greco sdraiato in lacrime ai piedi di un bancomat.
Al contrario, ascolto che vogliono abolire il contante per il nostro bene.

MalvezziQuotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi


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