Da più di un mese le serate degli italiani vengono scandite dai bollettini della Protezione Civile sui numeri del coronavirus. Dati in grado di orientare lo stato d’animo del paese, aumentando la preoccupazione o lanciando segnali di speranza.
Ad oggi però, sebbene si possa intravedere un leggero miglioramento, non è ancora possibile immaginare un prossimo futuro senza le implicazioni del COVID-19. Le riaperture sono state rimandate dal Premier Conte al 13 aprile e, quasi sicuramente, verranno posticipate e solo gradualmente attuate.
Lo abbiamo chiesto al Direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità, Prof. Giovanni Rezza.
“Io non sono favorevolissimo a dare i dati giorno dopo giorno, quando un giorno si abbassano creano illusioni e poi delusioni. Questa orgia di dati quotidiani non va bene, perché vanno interpretati e visti su più giorni. Può essere che si fanno più tamponi o che arrivano più notifiche dalle Regioni…
Riapertura graduale per zone? Io sono più favorevole ad un provvedimento su base nazionale con possibili variazioni regionali per il fatto che quando il Governo ha reso tutta Italia Zona Arancione lo ha fatto anche per proteggere il centro-sud. Poi la maggior parte delle attività produttive è al nord, quindi aprire al sud ed esporlo ad un rischio non so quanto sia conveniente.
Questa non è una epidemia che passa da un giorno all’altro, ficchiamocelo in testa. Combatteremo con questo virus fino a quando non arriverà un vaccino e vaccineremo un numero sufficiente di persone. Fino ad allora la vita normale ce la leviamo dalla testa. Non sarà come prima, alcune misure bisognerà sempre prenderle.
Non è pensabile la normalità, è pensabile un regime in cui alcune attività riaprano – perché non è neanche pensabile che non riapra niente dal punto di vista dell’economia – però se lo fanno lo devono fare con certe regole, una pseudo-normalità regolata”.
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