Abbiamo dunque smontato i due decreti finora attuati dal Governo per far fronte all’emergenza coronavirus, ovvero il ‘Cura Italia’ e il ‘Decreto Liquidità’: provvedimenti nei quali, per farla breve, l’esecutivo non mette un euro, ma garantisce la propria firma. Ecco spiegata la differenza tra credito di firma e credito di cassa, che è invece ciò che si sarebbe dovuto fare.
Significativa è in tal senso un’analisi del Cerved, che potete verificare nel loro sito: parla di un problema che tutti dimenticano, perché le imprese che lo Stato ha obbligato a chiudere ovviamente non hanno flussi di cassa in entrata. L’analisi, effettuata sul 55% degli occupati italiani, equivalenti a 1/3 del nostro PIL, ha portato a due scenari: uno cauto ed uno pessimistico.
Se consideriamo il cash flow (cioè la differenza tra le entrate e le uscite di un’impresa) abbiamo anche in questo caso due scenari:
Veniamo alla liquidità immediata per far fronte a tali rischi: almeno 30 miliardi tra marzo ed agosto per lo scenario ottimistico, almeno 80 miliardi più altri 50 da spendere per il perdurare dell’emergenza nell’ipotesi pessimista.
Attenzione al rapporto tra debito finanziario e patrimonio netto delle imprese, ovvero il cosiddetto “leverage”: attualmente ammonta al 73%, dunque abbastanza elevato. Questo rapporto potrebbe presto aumentare fino al 117%. Cosa vuol dire? Che se la smettiamo di fare dibattiti da bar difendendo il governo per posizione ideologica e vediamo i dati otteniamo tre deduzioni:
Tutto questo perché? Perché non abbiamo sovranità monetaria, dunque non possiamo utilizzare quegli strumenti propri di uno stato non coloniale.
Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi
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