I dati odierni sui nuovi contagi da Coronavirus confermano una spaccatura epidemiologica nel suolo italiano. Dei 3.021 positivi in più rispetto a ieri, 2.368 provengono soltanto da quattro regioni del Nord: Lombardia (1091), Piemonte (682) Veneto (348) ed Emilia Romagna (247).

Sono cifre che parlano chiaro, soprattutto se comparate con l’andamento del virus nel resto d’Italia. Così per l’area settentrionale del Paese, dove i focolai sono tutt’altro che spenti, la soglia di attenzione dovrà rimanere al livello massimo. Soprattutto guardando oltre il 4 maggio e pensando alla riapertura delle attività produttive.

Per definire meglio il quadro della situazione che sta vivendo il Nord del Paese, Luigia Luciani e Stefano Molinari hanno intervistato il professore Giovanni Di Perri, virologo e primaro dell’ospedale Amadeo di Savoia di Torino.

Rischio di nuovi focolai

Nelle regioni della Pianura Padana il numero di infezioni è ancora alto. Se perdiamo lo scudo protettivo del lockdown, che ha permesso la discesa fino ad oggi, ci sarà un ritorno dei casi di contagio.

Adesso bisognerà attuare delle misure preventive o addirittura di ricerca attiva dei casi non più passiva. Le occasioni di contagio aumenteranno ed il rischio è di veder ripartire la curva epidemica“.

Ipotesi sui contagi al Nord

Dal punto di vista geografico l’epidemia del Piemonte è sicuramente simile a quelle lombarda, in quanto la densità di casi regionale è molto più alta nel Piemonte orientale rispetto alla parte occidentale.

Si ricordi che in Lombardia abita il 25% dei cinesi presenti in Italia. Verosimilmente quel territorio è stato invaso da più focolai contemporaneamente al ritorno delle vacanze di Natale. Ci sono regioni che ne ospitano molto meno è quindi hanno avuto meno rischi. Questo secondo me è il fatto principale.

Poi mediamente abbiamo molti anziani con una vivace vita sociale. Quindi sono state esposte, ancora prima dei casi nelle Rsa.

Cosa chiederebbe alla politica?

“Certamente ci sarebbe da mettere su un programma su scala nazionale con il coinvolgimento di volontari e operatori. Forse ci vorrebbero 50.000 persone in tutto il territorio italiano che per quattro mesi si prodigassero, sulla base di un programma come quello del Veneto, a tracciare le infezioni e cercare di spegnere focolaio per focolaio.

Non so verrà fatto ma può essere l’unico intervento al momento per ridurre il numero dei contagi. Non c’è dubbio che il modello veneto vada preso come esempio. Cercare di circoscrivere i focolai, anzichè aspettare che arrivino in ospedale.”


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