Il Festival della canzone di Sanremo è da sempre lo specchio della società che va mutando. In effetti di mutamenti se ne sono registrati molti e decisivi.
Si è registrato un transito da un capitalismo ancora borghese con il senso dell’autorità e del limite, a un nuovo capitalismo assoluto che non ha più limiti e ha trasformato tutto in qualcosa di disponibile secondo il valore di scambio.
Questo passaggio si coglie nel mutare delle forme dell’arte e della canzone. Da elementi folklorici, nazionali popolari, legati alla tradizione, all’omologazione, con canzoni tutte uguali e dallo stesso messaggio.
Quello a cui abbiamo assistito ieri sera è stato un osceno spettacolo di post modernizzazione avanzata.
Amadeus, reo di aver violato il tabù genderisticamente corretto, più volte si è cosparso il capo di cenere pagando il suo pegno al politicamente corretto.
Il picco massimo della catechesi del nuovo ordine mentale si è raggiunto con Rula Jebreal, la vestale del cosmopolitismo liberista nemica del populismo e del sovranismo.
Il tema decisivo di Sanremo? L’aggressione al sacro.
A partire dall‘incipit volgare quanto blasfemo di Fiorello, seguito da un artista dalle movenze e dallo sguardo stralunati, tale Achille Lauro, esibito mezzo ignudo.
Vedere Sanremo è utilissimo per comprendere l’abisso di nichilismo e di instupidimento in cui l’occidente è irrimediabilmente precipitato.
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