“Non sempre ciò che vien dopo è progresso“, diceva Alessandro Manzoni.
E in effetti sembra essere l’equivoco narrativo che caratterizza il nostro tempo: la differenza percepita tra progresso umano e progresso tecnico. Portando i discorsi a livello pratico, non sempre ciò che è digitale è necessariamente progresso.
Per questo Martina Pastorelli, giornalista, crede sia necessario riflettere sul ruolo di strumenti digitali come il Green Pass dell’era Covid.
Proprio su di lui c’è un chiarimento importante: “E’ fatto per rimanere“. Vediamo infatti negli ultimi giorni parlare di una sorta di “Green Pass Mondiale” proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Con la promessa di eliminare scartoffie e quant’altro, quello che dovrebbe essere il nuovo strumento di identità digitale è presentato dalle istituzioni europee nel migliore dei modi.
Intanto un’innumerevole quantità di dati personali potrebbe venir raccolta e inserita in grandi server. E nell’ambito delle notizie sul dossieraggio una spontanea riflessione è d’obbligo. Ne abbiamo parlato in diretta a Un Giorno Speciale.
“Ci sono tre eventi che vedono l’Italia coinvolta” – spiega la giornalista.
“A febbraio 2020, quindi prima che venisse ufficialmente dichiarata la pandemia, Bruxelles aveva pubblicato un documento strategico che si intitolava ‘Plasmare il futuro digitale dell’Europa’, e che prevedeva il ricorso ad una identità elettronica pubblica universalmente accettata.
A marzo 2021 la Commissione europea aveva rilasciato il piano digitale del prossimo decennio, il 2030 Digital Compass.
Nessuno ha fatto una piega. Questo trasforma gli Stati in erogatori di servizi e i cittadini in utenti.
Cambia completamente il nostro status“.
“Terzo fatto, sul quale non mi risulta che l’Italia abbia mai preso ufficialmente posizione contraria, a novembre 2022 il G20 di Bali ha approvato l’introduzione di passaporti vaccinali e identità digitali globali. Sono carte firmate, accordi a cui si è aderito“.
Il resto, decreti legge e dichiarazioni, non basterebbero a tirarci fuori dallo scenario descritto da Pastorelli.
In verità, anzi, un DDL del 2 marzo sembra confermare l’utilizzo futuro di strumenti simil-certificazione verde.
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