È più imbarazzante commentare le beghe “politiche” e le polemiche di Renault e Mercedes verso la Racing Point o il doppiaggio che Hamilton infligge – non effettua, infligge – alla Ferrari? Divide et impera, nel mezzo, Toto Wolff, luciferino prima della partenza nei confronti di Binotto.
Già, Binotto: perché Maranello non unisce la propria voce a quella di chi protesta verso la “Mercedes rosa” quando i tedeschi, nel frattempo, con tanto di grancassa della loro stampa, svillaneggiano il Cavallino?
In mezzo agli interrogativi, anche oggi, hanno girato le monoposto: tutte, rigorosamente, dietro al marziano, che non riesce a vederle nei propri specchietti nemmeno quando esce da una sosta. Alla ricerca del doppiaggio di se stesso.
Il meglio, come sempre, dalle retrovie: a un millimetro dalla sverniciata, da Stroll perlomeno fino a Grosjean è tutto un gioco di staccate e ricerca dei varchi immaginabili, che sul tracciato dell’Hungaroring non sono poi così tanti.
Un paradigma, fra gli altri: il finale di Bottas a caccia di Verstappen, con strategia forse un po’ ritardata ma che rende comunque l’idea di come la Mercedes possa anche giocare con le strategie, conscia della propria superiorità: meccanica, motoristica, aerodinamica…politica. Torna il detestabile aggettivo che sta corrodendo la Formula Uno.
Il Re è solo, ancora una volta, per distacco e manifesta superiorità. Straordinario Verstappen, a maggior ragione considerando le qualifiche e l’errore a inizio gara.
Saremmo tentati, infine, di non affrontare l’argomento Ferrari, però dobbiamo, con una sentenza lapidaria e sintetica: la Rossa può essere tutto, meno che anonima. Esattamente ciò che le sta capitando.
Paolo Marcacci
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