900 milioni per salvare la Banca Popolare di Bari, è quanto prevede il piano del Governo. Un costume collaudato in questi anni quello per cui si impiega il denaro pubblico per salvare enti privatissimi bancari sull’orlo del fallimento.
Al cospetto della minaccia del crollo del sistema bancario la grande finanza dei signori delle banche usa sempre lo stesso stratagemma: too big to fail. Dire cioè che le banche sono troppo grandi per fallire, così bisogna necessariamente intervenire perché se fallissero ne scaturirebbe una tragedia generale per l’intera società.
Puntualmente dunque gli errori privati diventano danno pubblico, i guadagni privati però rimangono privati.
Siamo di fronte a quello che potremmo definire un comunismo capitalistico in cui i profitti sono privati e le perdite vengono generosamente fatte ricadere sulla sfera pubblica.
Grazie al too big to fail il sistema bancario ottiene dai governi la licenza di scaricare i costi delle proprie azioni bancarie e dei propri errori sui contribuenti e sui risparmiatori.
Si usano i pubblici danari non più per sostenere i più deboli, ma per sostenere le classi dominanti.
E’ sempre più difficile oggi distinguere lo Stato dal mercato e capire se sono gli stati ad aver nazionalizzato le banche o le banche ad aver privatizzato gli stati.
Viene da chiedersi: uno Stato è in fallimento quando non paga i debiti assassini o quando per pagarli taglia la spesa pubblica, la ricerca, la scuola e la sanità?
Ci troviamo in un sistema in cui le sofferenze riconosciute sono sempre quelle del sistema bancario e mai quelle dei lavoratori.
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