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Esteri

India-Pakistan, Escalation inaspettata | Le ultime notizie e i motivi dell’attacco

In un mondo sempre più animato dal dramma della guerra, nella notte fra il 6 e il 7 maggio è arrivata la notizia di un attacco missilistico dell’India nei confronti del Pakistan. L’offensiva indiana è stata presentata ufficialmente come “Operazione Sindoor“. Stando a quanto riferito da Nuova Delhi, l’obiettivo era “colpire con missili di precisione nove siti terroristici” nella parte del Kashmir controllata da Islamabad.

India-Pakistan, le ultime notizie

Già i bollettini di ieri di Associated Press delineavano un quadro dai contorni tragici. Il bilancio è stato di 34 vittime accertate, in seguito ai primissimi attacchi reciproci. Nello specifico, l’esercito pakistano ha fatto sapere che almeno 26 cittadini sono stati uccisi, e altri 46 feriti, in una serie di attacchi condotti dalle forze armate indiane.

Tra i decessi, 13 persone — inclusi donne e bambini — hanno perso la vita in un attacco missilistico che ha colpito una moschea a Bahawalpur, nella provincia del Punjab.

Inevitabile, già nella mattinata di oggi, la prima vera controffensiva di Islamabad. Secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Informazione pakistano Attuallah Tarar, nelle ultime ore l’esercito avrebbe ucciso fra i 40-50 soldati indiani lungo il confine de facto nel Kashmir, facendo “saltare in aria le loro installazioni militari” – ha poi specificato.

Scuole e aeroporti: disposta la chiusura precauzionale

In ambito civile, fra le prime reazioni di entrambe le parti c’è stata la chiusura dei rispettivi spazi aerei. In particolare, le autorità pakistane hanno disposto quella delle aree relative alle città di Lahore e Karachi. Inoltre, Air India ha cancellato tutti i collegamenti da e per il Kashmir. Mentre quasi 200 voli interni sono stati annullati nel nord-ovest dell’India. Numerosi scali poi, tra cui l’aeroporto di Srinagar, capitale del Kashmir (la regione contesa), sono stati chiusi.

Nel frattempo, anche il sistema scolastico è stato colpito dalle misure di sicurezza. Le autorità del Kashmir amministrato dall’India, hanno infatti ordinato la chiusura di scuole, università e altri istituti educativi in almeno sette distretti lungo la linea di confine. Le scuole rimarranno chiuse anche nelle vicinanze dell’aeroporto di Srinagar. Provvedimenti simili sono stati adottati anche nella provincia pakistana del Punjab e nella capitale Islamabad, dove gli istituti scolastici resteranno chiusi fino a nuovo ordine.

Le ragioni del conflitto

Si sa, è sempre molto difficile andare a scavare per trovare le ragioni di una guerra. Anche perché, dal punto di vista etico, non c’è mai un valido motivo per cui valga veramente la pena ricorrere a quel tipo di violenza. Ma questo, purtroppo è un discorso ascrivibile unicamente a una dimensione ideale, ben lontana dalla realtà concupiscibile e difettosa nella quale viviamo.

Dunque diventa necessario, oltre che giusto, interrogarsi e porsi delle domande. Specie in questo caso, che un po’ per ignoranza, un po’ per lontananza geografica, in occidente è stato percepito come un fulmine a ciel sereno. Niente di più falso.

Dopo la fine del controllo coloniale britannico, la sopracitata regione del Kashmir è sempre stata una zona contesa militarmente fra India e Pakistan. Si parla di quasi 80 anni fa, non propriamente l’altro ieri…

Ne tempo, quel contesto ha sempre rappresentato una polveriera geopolitica, portando a più conflitti fra i due stati e, in un caso, anche la Cina. Il riferimento, ovviamente, è alle varie guerre indo-pakistane che hanno coinvolto la regione a partire dal 1947; quasi immediatamente dopo l’indipendenza delle due parti in causa.

Ufficialmente, il governo di Nuova Delhi ha giustificato l’offensiva di due giorni fa definendola una reazione all’attentato nel Kashmir indiano del 22 aprile – rivendicato dal gruppo terroristico “Fronte della Resistenza” (frangia affiliata al gruppo pakistano “Lashkar-e-Taiba“).

Anche lì, un bilancio drammatico: 26 turisti uccisi. Ma volgendo lo sguardo al passato, è facile intuire come il movente di quest’ultimo attacco abbia radici ben più profonde delle vicende del mese scorso.

India-Pakistan, la reazione dei due Stati

Poche parole e un semplice tweet: “Giustizia è fatta“. Queste le parole su X del Ministro della Difesa di Nuova Delhi Rajnath Singh, che nella giornata di ieri ha poi parlato di “attacchi precisi, misurati, e non atti a provocare un’escalation”.

Dall’altra parte, non poteva mancare la reazione di sdegno del governo di Islamabad. Il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif ha condannato con fermezza gli attacchi dell’India, definendoli “vigliacchi. In un messaggio pubblicato su X, Sharif ha avvertito che il suo Paese “si arrogherà tutto il diritto di rispondere con la forza a questo atto di guerra imposto dall’India“.

Il Premier ha inoltre annunciato che le forze armate pakistane sono state “autorizzate a intraprendere azioni corrispondenti“. Una dichiarazione diffusa dall’ufficio del primo ministro ha ribadito che “in conformità con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, il Pakistan si riserva il diritto di rispondere, per legittima difesa, nel momento, nel luogo e nel modo che riterrà più opportuno“.

A fargli eco, anche il presidente Asif Alì Zardari, che non ha tardato nell’esprimere una grave invettiva nei confronti di Nuova Delhi: “Queste azioni dell’India rivelano la vera natura del loro governo fascista. Il Pakistan risponderà alle provocazioni indiane con tutta la sua forza“.

Il timore della comunità internazionale

Non c’è bisogno di girarci troppo intorno. La paura è quella di un’escalation di proporzioni ancora maggiori, considerando che entrambi gli Stati sono dotati di armi nucleari.

In linea generale, la comunità internazionale ha condannato l’attacco invitando le due nazioni alla moderazione. È il caso di Donald Trump, che ha definito la mossa indiana come una “vergogna“. “Ne abbiamo sentito parlare appena varcata la soglia dello Studio Ovale. Immagino che la gente sapesse che sarebbe successo qualcosa, basandosi un po’ sul passato. Combattono da molto tempo. Mi auguro che la crisi finisca molto presto“, ha poi dichiarato ai media.

E se da un lato la Turchia parla del rischio di una “Guerra Totale“, dall’altra Cina e Iran si sono proposti come possibili mediatori fra le parti. In particolare, nel pomeriggio di ieri il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi si è recato in visita a Nuova Delhi, a distanza di due giorni dall’incontro avuto a Islamabad con il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif.

In attesa di nuovi sviluppi, la speranza è che la situazione possa rientrare il prima possibile. Ma fra minacce più o meno velate, e offensive militari dalla portata non indifferente, in questo momento essere del tutto ottimisti risulta molto complicato.

Francesco Bastianini

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