Internet ha un grosso problema, e non è solo quello delle “legioni di imbecilli”. Perché non bisogna scomodare Umberto Eco per capire che non si può affidare a un algoritmo – impostato da un provato – la libertà di parola. Parola, si badi, non calunnia.
La differenza è sottile, ma c’è. Da una parte l’odio c’è, e va perseguito, ma da autorità garanti previste dallo Stato. Dall’altra c’è una cosa che è il sale della democrazia: il diritto di critica. Quando critica e calunnia sono state confuse, abbiamo assistito a pagine nerissime della storia.
E stiamo probabilmente per riassistervi, se non si chiariscono alcune cose che non sono altro che i limiti del signor Google.
“Se sono ad esempio su Twitter, dov’è che mi trovo?“. La domanda che si pone Diego Fusaro, filosofo e saggista, non ha ancora avuto una risposta giuridica. Perché il web è un luogo a tutti gli effetti, e anche il più frequentato nelle ore della nostra giornata. C’è tutto quello che è proprio di un territorio fisico: persone e anche diritti. Ma allora chi è che regola il diritto di critica?
Allo stato attuale nessuno: “Questo territorio al momento mi sembra una terra nullius dove nessuno decide, ma in realtà qualcuno decide, cioè il sovrano di turno che è il proprietario della piattaforma“.
Quando compriamo un televisore troviamo Google già impacchettato dentro a una condizione: che nessuno, su Google, mi dica cosa posso criticare e cosa no. Non è quello che succede oggi: chiedete alle masse di censurati.
Ecco perché la sentenza in favore di Radio Radio potrebbe diventare un mattoncino verso la libertà di espressione online. Per la casa il cammino è duro.
Il parere di Diego Fusaro a ‘Un Giorno Speciale’.
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