C’erano già all’epoca i giocatori milionari, certo non in Euro, ma milionari: privilegiati, idolatrati in un certo senso anche più di oggi; senza tv satellitari ma con gli stadi che non avevano mai un seggiolino vuoto.
E all’epoca c’era già un calcio ipocrita, finanche più ignorante e grossolano, all’interno del quale il giocatore era al tempo stesso protagonista privilegiato, quando la sorte e la carriera gli arridevano, e carne da macello se le cose andavano male, senza alcun diritto, trattato come un pacco postale per quanto riguardava i trasferimenti, vittima spesso di somministrazioni strane, malcelate da medici compiacenti e allenatori omertosi.
E c’erano, allora come oggi, le luci di una ribalta da perseguire, da raggiungere, da mantenere: quanto più erano luminose, tanto più ogni grande giocatore voleva occupare lo spicchio di palcoscenico che riusciva ad accaparrarsi, sperando di restarvi il più a lungo possibile.
Quasi ogni grande giocatore; in quel “quasi” brillò negli anni settanta, come brillerebbe ancora oggi, con gli stessi riflessi, l’esempio di Gigi Riva: il più grande attaccante della sua generazione, quello dal repertorio tecnico e atletico più fulgido; il più dirompente, il più efficace in area di rigore.
Lui si concesse il lusso più grande, in un certo senso: quello di poter scegliere da uomo, non da star; sfuggendo all’obbligo, che sarebbe stato vantaggiosissimo tranne che per l’indole e per l’orgoglio, di andare a vestire una delle maglie a strisce delle società che gli avevano promesso un assegno in bianco.
E scelse Cagliari, la Sardegna: non quella turistica e da cartolina, no; quella di un popolo che accoglie come pochi altri, quando avverte che chi si rapporta a esso lo rispetta in nome degli stessi valori. Ecco perché Gigi Riva era già un sardo d’elezione, ancora prima di saperlo; ecco perché a Cagliari poteva e può non essere straniero anche un ragazzo di poche parole della provincia di Varese.
I sardi gli diedero il cuore, come fanno quando cominciano a fidarsi; lui ci cucì sopra uno scudetto, trapuntandolo di gol.
Nessuna sorpresa, allora, che si siano messi in fila anche nella notte scorsa, per “Gigirriva”: nemmeno lui, ormai, saprebbe pronunciarlo in altro modo.
Paolo Marcacci
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