Venerdì 3 novembre il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge di riforma costituzionale che ha l’obiettivo di introdurre il cosiddetto “premierato”.
Una riforma costituzionale che ha un processo di realizzazione di molti mesi e che, nei piani del governo, potrebbe essere portata alle urne nel 2025.
La sintesi è il tentativo di rafforzare il Presidente del Consiglio, ma la riforma non intaccherebbe i poteri del Presidente della Repubblica secondo il costituzionalista Alfonso Celotto: “Il premier resta presidente del Consiglio e non diventa primo ministro.
Cosa voglio dire? Che ne rafforzi i poteri con l’investitura popolare, però lasci anche forti poteri di controllo al Presidente della Repubblica, quindi al Quirinale e al Parlamento“.
Ma che Parlamento e Capo dello Stato non sceglierebbero più il premier non è del tutto vero: “Succederebbe soltanto al primo giro, in che senso? Soltanto all’inizio della legislatura; quindi dopo il voto il presidente del Consiglio sarebbe designato dal popolo, ma se noi andiamo indietro alle 19 legislature che abbiamo fatto, in 17 casi il premier è stato il leader del partito di maggioranza, ma in due casi il partito di maggioranza ha indicato nomi di maggior bilanciamento: è successo nel 2013, quando vinse Bersani e fu scelto Letta e nel 2018, quando non fu eletto Di Maio, ma Conte. Se cade il primo Governo, sarà sempre il Presidente della Repubblica a scegliere quale Governo possibile“.
Il capo dello Stato però dovrebbe fare i conti con la clausola anti-ribaltone, “Il che significa che non potremo vedere quello che è successo nel 2018, prima con un esecutivo giallo-verde, poi giallo-rosso, poi il Governo Draghi“. La cifra, quindi, qual è? “Maggiore riconducibilità del voto al Governo, quindi io voto a destra e mi trovo il governo a destra, io voto a sinistra e mi trovo il governo a sinistra“.
Il che significa anche che sarebbe molto più difficile vedere governi tecnici: dopo il primo pit-stop, se va male, o si nomina un altro premier dello stesso colore politico o si torna al voto. “E’ successo nel 1994, primo giro Berlusconi, poi governo Dini, se non vai avanti, vai al voto“.
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