La frase di Lorenzo Pellegrini è di per sé una sentenza: – Alla fine abbiamo portato a casa zero punti -. Anche per demerito suo, che di meriti fino ai due terzi di gara ne aveva avuti parecchi, al pari di tutta la Roma, che aveva fatto e dominato la partita.
Poi cosa è accaduto? Qualcosa di epocale, a suo modo: una Roma dominante fino a quel momento, fino al raggiungimento del doppio vantaggio, ha visto andare in frantumi i cristalli della propria emotività soltanto perché un indisturbato Locatelli ha segnato il secondo gol juventino.
I romanisti di lungo corso ne hanno viste di tutti i colori e di partite allucinanti se ne intendono; persino per loro, però, ieri sera è accaduto qualcosa che va oltre: con la gara e il risultato in pugno, contro una Juventus fino a quel momento a encefalogramma piatto, forse la più battibile da dieci anni a questa parte, alla prima contrarietà la Roma è andata in crisi, favorendo da quel momento in poi il fraseggio stretto dei bianconeri, improvvisamente divenuto efficace. Ci sono stati a quel punto errori tecnici anche evidenti da parte dei singoli, ma la questione è innanzitutto caratteriale: spesso nella Roma giallorossa attribuiamo patenti da leader a giocatori che non lo sono, come se bastassero un paio di partite azzeccate e qualche atteggiamento che strizza l’occhio ai tifosi. Semplicemente questo.
Però alla conclusione si aggiunge una riflessione, visto che il primo a evidenziare il concetto è stato Mourinho: come mai, per quanto riguarda questo aspetto, la Roma non sembra per niente una sua squadra?
Paolo Marcacci
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