Sul referendum che avrebbe deciso se tagliare o meno il numero dei parlamentari, il Direttore di Gazzetta Amministrativa Enrico Michetti non ha mai nascosto la sua posizione: ridurre la rappresentanza del popolo non sarebbe stata una vittoria, ma una sconfitta.
All’indomani dall’esito della votazione e pur con profondo rispetto di quanto espresso alla volontà popolare, il commento non si discosta da quanto annunciato in precedenza: “Per alzarsi in piedi questo malato quasi terminale che è l’Italia – ha commentato – ha rinunciato già alle proprie risorse, alla produttività interna, e attende che il benefattore comunitario dia le provviste necessarie per allungare questa agonia”.
Parole dure quelle del Professore, che in questo intervento in diretta con Francesco Vergovich e Fabio Duranti ha sottolineato ancora una volta quanto il mutare della politica sia da considerarsi un peggioramento del sistema anziché un modo per migliorare le condizioni della nostra nazione. Ecco le sue motivazioni.
“Quando si riduce il numero dei rappresentanti del popolo a mio giudizio è una sconfitta per la democrazia. Purtroppo qui ci si sta legando sempre di più a dei messia, a degli idoli. Come se la politica fosse una sorta di personificazione. Messia che poi si bruciano con una velocità straordinaria.
Noi siamo passati dall’essere un popolo di navigatori, scienziati, poeti, artisti, pensatori, a un popolo di cassaintegrati, di precari, di distanziati, di licenziati. Gente che in questo momento accetta qualsiasi cosa in maniera supina. Anzi per alzarsi in piedi questo malato quasi terminale che è l’Italia, ha rinunciato già alle proprie risorse, alla produttività interna, e attende che il benefattore comunitario ci dia le provviste necessarie per allungare questa agonia.
Mancano i progetti! La gente non capisce che al centro di tutto non c’è il messia, non c’è un soggetto, non c’è il capo di tutto. Il capo di tutto c’è nelle dittature! Non c’è il leader, ci sono le idee. Gli argomenti. E al centro della democrazia c’è il cittadino. Non si può affidare acriticamente senza pensare il destino della nazione a Tizio, poi a Caio e poi a Sempronio”.
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