La ricerca scientifica sembra con il tempo aver perso quel bagliore di credibilità fondamentale per essere diffusa tra le menti del pensiero comune. A giocare a sfavore della scienza e delle istituzioni della ricerca è il circuito che sorregge l’intero sistema: svelato da inchieste, minato da sfiducia e destabilizzato dal malumore del popolo.
Sono proprio i cittadini ad aver denunciato il cortocircuito in ambito sanitario manifestando ondate di scetticismo e chiedendo il ritorno della salute come bene pubblico. Anche la ricerca scientifica, con annessa pubblicazione sulle riviste scientifiche e non nei salotti televisivi, continua ad essere bersaglio di critiche perché considerata a favore di pochi.
Sul tema hanno dibattuto ai microfoni di Francesco Vergovich, il professor Enrico Michetti e il ricercatore del CNR Mario Tozzi.
Ecco lo scontro avvenuto a “Un Giorno Speciale”.
“Le riviste scientifiche non sono la Bibbia. La rivista scientifiche non deve mai perdere di vista l’elaborato perché spesso assume ruolo e visibilità chi scrive e non la qualità del prodotto, quello che porti alla conoscenza degli altri. Diventa un circuito di titoli. Più roba scrivi e più hai diritto e facile accesso alla carriera universitaria.
Sempre attraverso un metodo scientifico. Ecco la rivista dovrebbe essere questo e garanzia di elaborato a prescindere da chi poi ne patrocina il lavoro. Le riviste non devono diventare dei circuiti elitari. La scienza di per sé la può studiare chiunque”.
“Non posso non essere d’accordo ma le riviste più grandi questo problema non ce l’hanno. E’ vero che il nome è importante. Però è anche vero che questo sistema funziona. E’ il metodo di approssimazione migliore che abbiamo.
Il metodo scientifico oggi è il migliore che abbiamo per la rappresentazione della realtà fisica. Ha i suoi errori ma è lì che gli scienziati si confrontano, non nelle interviste alla televisione”.
“Tanti soggetti utilizzano la ricerca scientifica a fini carrieristici per cui il barone è chiaro che fa scrivere nella sua rivista solo il soggetto che ottiene il suo gradimento, magari per opere di servizio e non per merito accademico. Questa è la mia critica. La valutazione del nostro elaborato dovrebbe essere asettica e non il titolo di colui che la patrocina”.
“Queste cose arrivano sempre dal nostro pollaio italiano più che altrove. Ho studiato all’estero. Lì questa cosa funziona diversamente, lì il baronaggio è diverso e vai avanti su un dossier che lo fa qualcuno che non potrebbe prendersi un’incompetenza altrimenti ci rimetterebbe lui. Con il concorso sembra che la cosa sia migliore ma in realtà non lo è”.
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