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Io, “prof” a Roma ai tempi del coronavirus

Premessa: qualsiasi decisione, in questa fase, risulterebbe discutibile, come accade sempre nei momenti di emergenza, con la conseguente fibrillazione indotta dalla (auspicata e auspicabile) tempestività delle misure da porre in essere.

In questo caso parlo da conoscitore del mondo della scuola pubblica, essendo anche un insegnante di lettere e svolgendo, di conseguenza, una parte della mia vita lavorativa in un istituto “comprensivo”, vale a dire con alunni che vanno dai bambini della primaria ai ragazzi della secondaria di primo grado, ossia la scuola media, quella in cui insegno italiano, storia e geografia. 

La salvaguardia dell’andamento normale delle attività cittadine, in una metropoli come Roma, è fondamentale, perlomeno fino a quando sussistono le condizioni minime per porla in essere: siamo tutti d’accordo. Detto ciò, la realtà di questi giorni è in continua mutazione, di ora in ora, con il contagio, senza focolai autoctoni, va detto, che ormai è approdato nella Capitale; pur con tutti i distinguo che i competenti in materia potrebbero illustrarci in dettaglio. 

Francamente, comincia a sembrare ineludibile una chiusura degli istituti scolastici, anche se nel momento in cui scrivo non c’è ancora alcuna comunicazione del Campidoglio in merito. Il ragionamento che, dall’interno di questo mondo di cui faccio parte, scaturisce a mio avviso spontaneamente, visti gli accadimenti delle ultime ore, si basa su due osservazioni.

  • La prima riguarda i mezzi pubblici, che soprattutto i ragazzi degli istituti superiori (i tanti non muniti di scooter) utilizzano quotidianamente per recarsi a scuola: per un po’ di giorni autobus e metropolitana sarebbero molto meno affollati. Che tipo di vantaggio sarebbe? Non potendo quantificare in percentuale, diciamo che aiuterebbe a…mantenere le fisiologiche distanze.
  • La seconda considerazione, la faccio sottoponendo ai lettori un particolare sul quale non tutti riflettono: nelle scuole romane, sia come insegnanti, che come collaboratori scolastici o, ancora, come applicati di segreteria, lavorano moltissimi pendolari. Sempre più numerosi. Negli anni, ho avuto colleghi che quotidianamente venivano a lavorare in treno: da Napoli, addirittura; da Latina, da Formia, da Viterbo, Civitavecchia e da molti altri posti. Non è già di per sé, questa, una sorta di chance che si offe al virus?

Questi due motivi, in particolare, cominciano a farmi pensare che nei prossimi giorni la chiusura delle scuole nella Capitale sia una misura difficilmente eludibile. Ma questo è soltanto un ragionamento, dall’interno del “cosmo” scolastico ripeto, le cui sfumature voglio condividere con i lettori di radioradio.it. 

A questo punto però vi saluto perché, come ogni sera, preparo la borsa con i libri e gli appunti per domattina. Fino a prova contraria, s’intende. 

Paolo Marcacci

Paolo Marcacci

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