L’impresa di Brescia, con l’evidente concorso di colpa del secondo tempo dissennato delle Rondinelle, diventa solo un dettaglio del tardo pomeriggio culminato con la visita della squadra, al ritorno dalla Lombardia, sotto la clinica dove Siniša Mihajlović sta combattendo la più importante delle sue battaglie. Un piccolo gesto, dalla grandezza infinita.
Nella botte piccola, sta il vino pregiato della sua continuità prestazionale. Il gol segnato contro l’Udinese, poi, è un piccolo prodigio tecnico: sull’assist mirabile di Godin, Sensi si esibisce in una torsione, con il controllore Opoku addosso, cui segue una “frustata” con il collo degna dei più consumati bomber. Al momento è inarginabile.
La lucidità del controllo, l’affidabilità della sua supervisione. Quando deve giocare la sfera, mette in mostra la pulizia del suo calcio, soprattutto per quanto riguarda i palloni fatti viaggiare a lunga gittata. Difficilmente rinunciabile, anche se non è un regista vero e proprio, per la ricerca degli equilibri nella mediana ideale che ha in mente Paulo Fonseca. I francesismi, quelli belli.
Prima grande vetrina italiana contro la Juventus: lo spunto, il ricamo, la giocata da fermo, il cambio di gioco esibito con la naturalezza dei grandi. Ghigno di classe, smorfia d’esperienza.
Vince, soffrendo nella Verona più d’una volta fatale, una di quelle partite sporche che danno la sensazione, una volta che le si porta a casa, di valere qualcosa in più dei tre punti totalizzati per la classifica. Identità ancora labile, per quanto attiene all’aspetto tattico, ma autostima in via di irrobustimento.Valeriana per Giampaolo, sotto il balcone di Giulietta.
Lasciando da parte il look dopolavoristico in salsa biancorossa, al “Franchi” non si è mai percepito il carisma della Signora. E lo spartito di Sarri, per quanto riguarda la prestazione di Firenze, quasi del tutto s’ignora. Il bruco nasconde la farfalla.
“Suicidarsi a Ferrara”: non è un noir di provincia come quelli che dirigeva Lucio Fulci; è la sintesi dei destini biancocelesti al “Paolo Mazza”, dopo perlomeno sessanta minuti di controllo assoluto della partita, a cominciare dal giropalla esibito quasi con tracotanza, data la superiorità tecnica. Delittuoso andare al riposo con un solo gol di vantaggio, dopo la mole di gioco prodotta, autolesionista non accorgersi in tempo della mutazione che, anche per merito di Semplici, il match ha subito nell’ultima mezz’ora. Delitto e castigo. Segue dibattito.
Da un maestro del calembour e della freddura d’alto rango non ci saremmo mai aspettati una “battuta” degna della più dozzinale commedia all’italiana di fine anni settanta.
Non accettabile, a livello professionistici. Stavolta Gasperini, pur non avendoci rimesso punti, ha ragione da vendere.
Li abbiamo sentiti distintamente, in vari frangenti della gara e alla fine, soprattutto all’indirizzo di Kessie. Vomitevoli, schifosi, vigliacchi. Non apparteremo mai alla schiera di quelli che consigliano di non parlarne, per non dar peso a qualche decina (siamo sicuri?) di idioti. In caso contrario, saremmo complici.
Paolo Marcacci
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