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Politica

Rissa continua

Quando mancano tre giorni al Consiglio dei ministri che deciderà sulle sorti di Armando Siri, il sottosegretario leghista ai Trasporti indagato per corruzione, i toni tra i due alleati di governo si fanno roventi. In mattinata è un post pubblicato sul blog delle Stelle a dare fuoco alle polveri. “Alla Lega chiediamo di non cambiare sempre discorso, ma di tirare fuori le palle su Siri e farlo dimettere“.

Affermazioni che vengono rinforzate dal capo politico del M5S, Luigi Di Maio che in tv, sul caso Siri rincara la dose. “Non ha senso attendere il rinvio a giudizio” come chiesto da Salvini, “perché la questione non è l’inchiesta in sé, ma un sottosegretario che avrebbe provato a favorire un singolo con una legge”, dice, prima di rivolgersi a Salvini: “E’ facile fare il forte coi deboli, questo è il momento del coraggio”.

Salvini però non si scompone. Nel corso di un incontro a Roma, si dice “stufo di insulti da alleati” assicurando però che “questo governo andrà avanti cinque anni”. Prova a contenersi, il leader leghista, ma poi non si trattiene e alla fine sbotta: “State attenti a come parlate perché elementi deboli rischiano di prendere sul serio gli insulti che mi arrivano addosso, sono stufo di essere oggetto di un tiro al bersaglio di chiacchieroni finti democratici che istigano all’odio e alla violenza”.

Quindi lancia l’ultimatum: “Non ho paura di niente e nessuno ma le parole hanno un peso. Tappatevi la bocca, lavorate e smettetela di rompere le scatole e insultare e minacciare il prossimo, questo ve lo dico ed è l’ultimo avviso”. Ma la tensione non si allenta. E a stretto giro, in serata, arriva la replica di Di Maio: “Con la corruzione non ci si tappa la bocca, si parla e si chiede alle persone di mettersi in panchina – dice il vicepremier intervistato da Massimo Giletti su La7-. Il Movimento 5 Stelle rimane un presidio di legalità”.

Sul caso Siri “non mollo per coerenza, chi getta un’ombra su governo si deve mettere in panchina”. Poi, calando il sipario su una giornata di offesi e insulti, Di Maio lancia la domanda che tutti, in queste settimane continuano a ripetere: “Ma perché dobbiamo arrivare a questo punto?”.

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