La Commissione Europea ha recentemente promosso l’Italia, sospendendo la procedura di infrazione per un deficit eccessivo. Questo riconoscimento si basa sull’analisi del documento programmatico di bilancio, che certifica che il Paese ha rientrato nei parametri di spesa imposti dall’Unione Europea, sebbene con un certo grado di riserva. Tuttavia, la procedura non è stata completamente annullata, ma solo sospesa.
La Commissione Europea ha stabilito che la posizione italiana verrà riesaminata nella primavera del 2026, dopo la valutazione dei dati ufficiali consuntivi. L’obiettivo sarà verificare se la riduzione del rapporto deficit/PIL sia effettivamente strutturale. Tra i numeri che hanno favorito questa sospensione figura una previsione di spesa netta per il 2025 dell’1,2%, leggermente al di sotto del limite fissato dall’Unione Europea, che è dell’1,3%.
Il dato che ha reso l’Italia virtuosa, secondo i parametri europei, riguarda anche la spesa netta. Ma cos’è esattamente la spesa netta? Si tratta della spesa al netto degli interessi sul debito, dei sussidi di disoccupazione e di altre voci che sembrerebbero essere interamente finanziate dall’Unione Europea. È interessante notare che la virtuosità dell’Italia in questo ambito non è una novità, ma una caratteristica che ha quasi sempre contraddistinto il nostro Paese.
Tuttavia, il grande tema che continua a pesare sull’Italia è il debito accumulato dal nostro Paese a partire dagli anni ’80. Secondo l’Unione Europea, questo rappresenta una condanna teorica, nonostante la riduzione del deficit. Paesi come Cipro, Estonia, Francia e Germania sono stati promossi, mentre altri, come Croazia e Slovenia, sono a rischio. La domanda che sorge spontanea è: quando abbiamo pensato di creare una mamma che ci vuole male?
Il calo del rapporto deficit/PIL implica una riduzione della spesa pubblica, con conseguente abbassamento della domanda effettiva nell’economia. Questa situazione finisce per danneggiare famiglie e imprese, in quanto comporta aumenti delle tasse e tagli alla spesa pubblica. Ciò include la riduzione dei servizi essenziali come pensioni, sanità e istruzione, che sono le fondamenta per cui uno Stato merita di esistere. La domanda finale è: perché la “matrigna” Unione Europea merita di esistere, se il prezzo da pagare per l’economia umanistica è tanto alto?
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