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In Italia abbiamo ancora un problema con le morti sul lavoro

All’inizio di novembre 2025, durante i lavori di restauro alla Torre dei Conti (Fori Imperiali, Roma), la struttura ha subito due cedimenti parziali nel corso della stessa mattinata; il primo intorno alle 11:30 e un secondo circa 90 minuti dopo, mentre erano in corso i soccorsi. Un operaio rimasto intrappolato sotto le macerie è stato estratto dopo circa 11 ore ma è poi morto in ospedale: si tratta di Octay (Octav) Stroici, 66 anni. L’area è stata subito sequestrata e la Procura ha aperto un’inchiesta per disastro e omicidio colposo.

Nel 2024, in Italia, sono state registrate 1.041 morti sul lavoro secondo INAIL. Nel solo primo mese del 2025, le denunce di morte sono già 101: più di 3 al giorno. Il problema non sta diminuendo: sta continuando a riprodursi nella stessa identica forma.

Il quadro generale

Il 2024 si è chiuso con 1.041 vittime e 585.000 denunce di infortunio.
Ma i dati del 2025 non mostrano alcuna inversione di tendenza: a gennaio 2025 INAIL registra 101 morti e circa 48.000 infortuni denunciati. Sono dati provvisori, ma coerenti con la media degli ultimi anni: in Italia si muore 3 volte al giorno mentre si lavora. Il fenomeno non è episodico: è strutturale.

I settori con più vittime

Le morti si concentrano negli stessi comparti da vent’anni:

  • Costruzioni
  • Agricoltura
  • Logistica / Trasporti
  • Industria e manifattura

Nel 2024 il settore delle Costruzioni ha registrato circa il 15% delle morti totali, mentre Agricoltura e Logistica insieme superano il 30%. La precarietà peggiora tutto: chi ha contratti brevi o lavoro irregolare tende a non segnalare situazioni pericolose per paura di perdere il posto. Il rischio, quindi, è economico, sociale e culturale.

Perché succede ancora

In Italia la sicurezza viene ancora considerata un costo. Molte aziende risparmiano sui dispositivi di protezione, sulla formazione e sulla manutenzione dei macchinari. I controlli? Insufficienti: in alcune regioni un’azienda può essere ispezionata in media una volta ogni 11 anni. E poi c’è la catena dei subappalti: più la filiera si frammenta, meno è chiaro chi è responsabile della sicurezza.
Quando tutti sono responsabili, molto spesso non lo è nessuno.

Cosa servirebbe davvero

Non bastano le commemorazioni dopo l’ennesimo incidente.
Serve una strategia continua e verificabile:

  • Aumento delle ispezioni reali, non solo burocratiche
  • Formazione obbligatoria certificata, non corsi formali online
  • Tracciabilità dei subappalti e responsabilità chiare
  • Incentivi alle imprese che investono in prevenzione
  • Una cultura in cui la sicurezza non è un “di più”, ma la prima condizione del lavoro

La sicurezza non deve essere percepita come una spesa.
È civiltà. È dignità. È vita.

Redazione

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