L’Europa si trova oggi davanti a un interrogativo cruciale: come può sostenere spese che non può permettersi? Secondo Alfred Kammer, direttore del Dipartimento Europa del Fondo Monetario Internazionale, la crescita dell’Eurozona rimane troppo bassa per garantire la stabilità nel medio periodo. Le sole misure tradizionali di consolidamento fiscale, afferma, non basteranno a evitare che il debito pubblico assuma dinamiche esplosive.
Kammer, in un’intervista al Sole 24 Ore, sottolinea che la crescita dell’Eurozona è stimata all’1,2% per l’anno in corso, ma si tratta di un miglioramento temporaneo. Per il 2026, infatti, si prevede un ulteriore rallentamento fino a +1,1%. Tra gli elementi di fragilità si citano gli effetti dei dazi americani sulle esportazioni europee, capaci di comprimere i profitti e, quindi, di frenare ulteriormente la ripresa.
Il Pil pro capite dell’Unione Europea è oggi inferiore di quasi il 30% rispetto a quello degli Stati Uniti. Questo divario indica debolezze strutturali profonde, imputabili — secondo la critica avanzata nel testo — non tanto a fattori esterni quanto alle scelte dei governanti europei. Il FMI ribadisce la necessità di interventi significativi per rilanciare la competitività e scongiurare una futura crisi del debito.
L’elemento centrale della questione riguarda ciò che l’Europa può realmente permettersi. Se l’Unione decide di investire in armi e in spese militari in un contesto in cui imprese e famiglie sono già in difficoltà, inevitabilmente i governi saranno costretti a tagliare la spesa sociale.
E, come accaduto negli ultimi 25 anni, i tagli rischiano di colpire sanità, istruzione, welfare, occupazione e tutti i settori che incidono direttamente sulla qualità della vita.
Secondo questa visione, il vero problema è che il modello attuale dell’Unione Europea “non regge più” e richiede una trasformazione radicale. La proposta è quella di adottare un modello di economia umanistica, che metta l’uomo al centro, invece dei mercati, e che non consideri il debito come unico parametro di riferimento, ma il benessere reale degli esseri umani.
Una posizione definita “controccorrente”, ma presentata come necessaria per evitare il deterioramento del modello sociale europeo.
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