L’Europa non sta vivendo una fase di difficoltà: sta attraversando un processo di autoannichilimento. Un suicidio politico ed economico che non nasce da un incidente, ma da una scelta strutturale delle classi dirigenti. È la tesi centrale da cui discende tutto il resto: la crisi non è un effetto collaterale, è un esito programmato. E in questo quadro il PNRR, da mito salvifico, diventa soltanto l’ultimo atto di un’architettura che si regge su promesse simboliche e risultati marginali.
Secondo quanto sostenuto da Gabriele Guzzi ai microfoni di Un Giorno Speciale, l’Europa ha costruito da sé la propria deriva. Le classi dirigenti avrebbero abbracciato un impianto che svuota la politica e disinnesca la democrazia. “Tutte le scelte fondative di questa Unione Europea sono la causa diretta, scientificamente dimostrabile, di questo grado zero in cui la politica europea è caduta”, afferma. Il problema non è congiunturale: è genealogico. La conseguenza è una leadership incapace di produrre visione, precipitata in quella che lui definisce un “grado di pateticità, di vergogna”, simbolo di un continente che ha rinunciato a se stesso.
Nella sua lettura, il PNRR non nasce come strumento economico ma come risposta rituale al collasso strutturale. “Un mito fondativo per ridare slancio a un’infrastruttura che stava già collassando”, dice Guzzi, che interpreta quel piano come un tentativo quasi religioso di tenere in piedi l’illusione di un progetto europeo ancora vitale.
Ma il mito non regge alla prova dei numeri: “Il contributo netto è circa il 2% del PIL in sei anni: niente, briciole”. Un impatto insignificante, soprattutto se confrontato con la risposta nazionale durante il lockdown: sette punti di PIL in un solo anno. Altro che “pioggia di miliardi”: il piano, nella sua lettura, è la prova matematica della irrilevanza europea.
Il vero nodo, per Guzzi, non è solo l’insufficienza delle risorse ma la logica che governa la loro allocazione. “Questa struttura ha una strana perversione burocratica, tecnocratica, che si basa su una sfiducia radicale della politica”.
Il risultato è che ogni euro deve incastrarsi in un sistema di criteri, leve e incroci progettuali che spinge gli investimenti verso interventi di terzo o quarto ordine. E c’è un’altra fregatura, ben più pesante: quella spesa non è aggiuntiva ma sostitutiva. “Incide sul nostro deficit”, spiega Guzzi, denunciando un impianto che vincola e sottrae margini invece di generarli. È il paradigma dell’Europa dei vincoli, che riforma se stessa senza mai cambiare sostanza.
Le conseguenze sono visibili nei numeri, che secondo Guzzi non possono stupire: “La crescita è allo 0,4%. Ma cosa è successo? Se tu fai austerità, il costo dell’energia raddoppia e fai accordi commerciali come li hanno fatti loro, cosa ti aspetti? Il 5%?”
Il problema, sostiene, è che il racconto dominante oscura la linearità dei fatti. Una nebbia comunicativa che rende eterea la responsabilità politica e confonde la percezione pubblica. Ma non abbastanza da ingannare la quotidianità delle persone. “Nella loro materialità quotidiana hanno capito benissimo tutto”, conclude.
È lì, nella distanza tra narrazione istituzionale e realtà vissuta, che si consuma davvero la crisi europea: non nei Trattati, ma nel modo in cui la vita materiale smentisce ogni giorno le promesse della tecnocrazia.
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