Siamo alle solite, verrebbe da dire: è nuovamente divampato uno scontro, l’ennesimo, tra Landini, segretario del principale sindacato italiano, e Giorgia Meloni, presidente del Consiglio ed esponente della giullaresca destra bluet neoliberale atlantista filobancaria e filo-israeliana. L’ultimo scontro indiavolato risaliva, in effetti, a poche settimane addietro, in occasione del fatto che Landini aveva apostrofato in maniera decisamente poco elegante Giorgia Meloni come cortigiana di Trump e degli Stati Uniti d’America. Indiscutibile, certo, la subalternità del governo giullaresco a Washington, ma discutibilissima – questo sì – la parola adoperata da Landini.
E adesso il nuovo motivo del contendere riposa nel fatto che Landini ha indetto un mega sciopero generale per il 12 dicembre. Per parte sua Giorgia Meloni ha subito notato, non senza una certa dose di malizia, che la data scelta per lo sciopero cade ancora una volta di venerdì. Il messaggio veicolato dal presidente del Consiglio appare lampante: il sindacato dice in astratto di voler difendere i lavoratori e in concreto aspira a fare un fine settimana più lungo. Inutile negarlo, si tratta di un dibattito di piccolo cabotaggio, per non dire di livello bassissimo, indegno della nostra Italia di Dante e di Machiavelli, di Vico e di Benedetto Croce. Ma tant’è: questo è il livello. “Hic Rodus, hic salta”, avrebbe detto Hegel.
Per parte nostra non abbiamo alcuna simpatia per le posizioni di Landini come per quelle di Meloni, e ci riteniamo distanti da entrambi almeno quanto Marte da Plutone. Potremmo anzi dire, senza esagerare, che Giorgia Meloni sta all’interesse nazionale italiano come Landini sta all’interesse delle classi lavoratrici italiane. Giorgia Meloni risulta politicamente genuflessa in toto a Washington e a Bruxelles. Quanto a Landini, non abbiamo certo obbliato la foto che lo ritrae accanto all’euroinomane delle brume di Bruxelles, l’unto dei mercati Mario Draghi, il quale peraltro, nella foto, gli tiene padronalmente – direbbe qualcuno – la mano sulla spalla, essendo la mano sulla spalla nelle foto un chiaro gesto di subalternità e di rapporto servo–signore, direbbe Hegel.
Non abbiamo dimenticato che, quando c’era l’infame tessera verde, non soltanto Landini non proclamava scioperi nazionali, ma anzi propugnava apertis verbis l’obbligo della benedizione con l’acqua santa per tutti. E neppure, in vero, abbiamo dimenticato le surreali foto di Giorgia Meloni gongolante accanto al guitto di Kiev, l’attore nato con la N maiuscola Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood.
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