Nel confronto acceso sulla nuova legge sul consenso, bloccata dai senatori di centrodestra in commissione al Senato, l’intervento di Boni Castellane rimette al centro una questione che supera le appartenenze politiche: la tenuta delle garanzie costituzionali. Il nodo non riguarda soltanto la tecnica legislativa, ma il rischio che un impianto pensato per tutelare finisca per erodere la presunzione d’innocenza e produrre effetti opposti a quelli dichiarati. Una discussione che, per Castellane, deve tornare saldamente dentro il perimetro del buon senso giuridico.
Il primo punto sollevato da Castellane è la natura dell’impianto normativo basato sul consenso attuale, definito senza esitazioni un “monstrum giuridico”. Il passaggio chiave è la presunta inversione dell’onere della prova: “nel momento in cui una persona dichiara che il mio consenso è venuto a mancare, automaticamente l’accusa non è smentibile”. Un meccanismo che, secondo lui, spalancherebbe un varco incompatibile con i principi costituzionali, perché “l’accusato non ha i mezzi per negare l’accusa”. Per Castellane, nessun giurista potrebbe accettare un quadro in cui la tutela del denunciante coincide con l’indifendibilità giuridica dell’accusato.
La questione, nelle parole di Castellane, si estende oltre il singolo caso: “siamo di fronte a qualcosa di assolutamente inconcepibile”. L’introduzione del consenso attuale creerebbe per lui un terreno favorevole a possibili abusi, sia da parte delle donne che degli uomini, perché “la fonte sei tu che devi certificare la cosa”. Il risultato sarebbe un sistema in cui ogni relazione diventa potenzialmente esposta al ricatto, all’accusa non confutabile, a una dinamica che mina la fiducia stessa nei rapporti. Da qui il parallelo duro – ma per Castellane calzante – con contesti processuali estremi di stati totalitari, dove l’accusa coincideva con la prova.
L’ultimo nodo riguarda la deriva culturale che, secondo Castellane, alimenta il progetto: “il woke è una religione senza trascendenza”. Una mentalità che, nella sua lettura, considera l’atto sessuale “sempre e comunque una violenza” e che spinge verso norme incapaci di distinguere tra tutela e sproporzione. Per questo la posizione è netta: riportare il tema sul terreno del principio di realtà, perché “sostenere che una legge trasformi in stupro ogni rapporto inficiato da un consenso attuale” significa oltrepassare il limite della ragionevolezza. L’auspicio finale è che il disegno di legge venga accantonato: “ritorniamo nel mondo normale per cortesia”, dove diritto e garanzie continuino a coincidere.
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