Nel dibattito pubblico europeo la parola pace continua a essere evocata come obiettivo comune, ma gli eventi geopolitici degli ultimi anni raccontano una direzione opposta: interventi militari ripetuti, destabilizzazioni programmate, riallineamenti economici forzati e una propaganda che spinge le opinioni verso lo scontro. A livello sociale, il clima è quello di una progressiva polarizzazione, mentre la popolazione viene distratta o frammentata. Non è un processo spontaneo: è il risultato di scelte coordinate, di interessi strategici e di un sistema internazionale che considera la guerra non come un fallimento, ma come funzione strutturale. Ai microfoni di Un Giorno Speciale lo sfogo di Giorgio Bianchi sulla questione.
Secondo Bianchi, l’Europa non si trova davanti a un bivio tra pace e guerra: ci è già incamminata. “Questa non è una strada verso la pace, è una strada verso la guerra“, afferma. E il meccanismo, dice, è identico a quello che precedette la Prima Guerra Mondiale, quando “ci si avviò al macello come sonnambuli“. Il sonno collettivo non è casuale, ma prodotto: distrarre, semplificare, dividere.
“Se riavvolgiamo il nastro – sostiene – vediamo passaggi precisi che hanno portato a eliminare governi, destabilizzare regioni e preparare nuovi fronti”.
Bianchi elenca i casi non come episodi isolati, ma come tappe di uno stesso schema. In Libia, “abbiamo distrutto il paese più avanzato d’Africa per interesse straniero”. In Siria, “è stato rimosso Assad perché ‘dittatore’, sostituendolo con chi era parte di Al-Qaeda”.
In Ucraina, un territorio già fragile è diventato terreno di scontro globale, “devastato, fallito, inquinato per i prossimi mille anni“.
E poi Gaza, dove la distruzione e l’annichilimento sono sotto gli occhi del mondo, ma raccontati “con una propaganda che trasforma la vittima in aggressore”. La tesi è netta: non esiste caos, esiste un progetto.
Dietro la retorica moralista degli interventi “per la democrazia”, Bianchi parla di una classe dirigente globale che usa le crisi per consolidare potere, spostare risorse, controllare popolazioni. “Chi ci guadagna sono solo le élite“, dice, mentre “sui campi di battaglia muore la gente comune”. È ciò che definisce il governo invisibile: non un complotto, ma una struttura socio-economica dove “i soldi veri determinano tutto”. Per questo la guerra non è incidente: è strategia industriale.
Il punto finale è forse quello più vicino alla vita quotidiana: non serve andare in Medio Oriente per vedere la guerra.
“Il laboratorio lo abbiamo avuto in casa durante la pandemia“, dice. Le famiglie spaccate, le relazioni azzerate, l’informazione trasformata in disciplina sociale. Se si è potuto dividere una casa, si può dividere una nazione. Se si può dividere una nazione, si può portarla alla guerra. Per Bianchi, la domanda non è se andremo o no al fronte. La domanda è: ci accorgeremo di esserci arrivati solo quando sarà troppo tardi?
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