Le piattaforme stratosferiche potrebbero cambiare per sempre il modo in cui osserviamo la Terra, comunichiamo e gestiamo la sicurezza globale. A spiegarlo è Giuseppe Persechino, coordinatore scientifico Osservazione della Terra al CIRA, ai microfoni di Astrea: “Le piattaforme stratosferiche sono un’innovazione che nasce dal coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo”.
“Lavorare ai confini dell’atmosfera significa affrontare l’ignoto”, spiega Persechino. “Non siamo nello spazio, ma nemmeno nell’atmosfera: la densità dell’aria è talmente bassa che restare a 20 chilometri di quota è difficilissimo”. L’ingegnere sottolinea come poche missioni abbiano tentato la via della stratosfera, una zona ancora “non colonizzata” nonostante la ricerca spaziale: “Siamo andati su Marte, ma pochissimi esperimenti hanno volato stabilmente in stratosfera. È un ambiente estremo”.
Proprio questa complessità ha spinto il CIRA a progettare un dirigibile ibrido capace di unire galleggiabilità e portanza aerodinamica, riducendo le dimensioni senza rinunciare alla stabilità. “Abbiamo creato una macchina che si muove come un aereo ma si sostiene come un dirigibile. È un equilibrio tra il principio di Archimede e la portanza classica che permette di restare a quelle quote senza diventare giganteschi”.
Il vero punto di forza è l’autonomia. “La piattaforma è completamente eco-friendly: funziona con motori elettrici alimentati da pannelli solari e può restare in quota per 4-5 mesi”, spiega Persechino. “La durata dipende soprattutto dalle batterie, che sono la chiave tecnologica per tutti i sistemi elettrici. Quando l’efficienza scende, bisogna tornare giù per ricaricarle e recuperare l’elio”.
Un altro vantaggio è la riutilizzabilità: “Assolutamente sì, la macchina è riutilizzabile. I costi operativi sono molto bassi, un elemento chiave non solo per le applicazioni civili ma anche per quelle militari”. E sul prezzo, Persechino è chiaro: “Una piattaforma come la nostra costa tra 1 e 5 milioni di euro, molto meno rispetto a una macchina militare come il Global Hawk che arriva a 130 milioni”.
La piattaforma stratosferica, racconta l’ingegnere, “rappresenta una democratizzazione dell’accesso a internet per i paesi dove le infrastrutture terrestri non arrivano: India, Africa, Sud America”. Ma non solo: “Le latenze di comunicazione sono bassissime rispetto a quelle dei satelliti, e questo apre nuove possibilità nelle telecomunicazioni”.
Sul fronte dell’osservazione della Terra, la rivoluzione è altrettanto profonda. “Immaginate di essere una formica su un quadro di Van Gogh: l’osservazione della Terra serve a sollevarsi per vedere l’intero quadro. I satelliti ci guardano da 700 km, noi da 20: abbiamo la stessa visione d’insieme ma con un dettaglio infinitamente maggiore”. E conclude: “Le piattaforme stratosferiche sono persistenti, cioè osservano sempre la stessa area. È come avere un occhio fisso sul mondo, una capacità di controllo del territorio che i satelliti, per loro natura, non possono garantire”.
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