Il video di una maestra che intona una filastrocca per bambini — “Le mie parti intime, intime, intime…” — ha acceso il dibattito: educazione, prevenzione, e forse sovra-paura. Ai microfoni di Lavori in Corso sono intervenuti lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet e il giornalista Alex Corlazzoli, entrambi critici rispetto all’approccio proposto. Il filmato, che ha già fatto il giro del web, mostra una docente che con ritmo semplice e gesti chiari invita i bambini a riconoscere “le loro parti intime” e a dire “no” se qualcuno le tocca senza consenso. La domanda centrale: è educativa oppure eccessiva? E che messaggio manda ai bambini della primaria?
“È orrenda”, esordisce Paolo Crepet riguardo alla filastrocca, “è una cosa che ho fatto fatica a sentire. I bambini devono giocare tranquilli.”
Il timore che esprime è quello di trasformare la scuola in un’arena di allarme continuo: secondo lui “siamo in un mondo di mostri”, dove l’infanzia sarebbe sottoposta a paure “immaginate” dagli adulti piuttosto che a rischi reali.
Interrogato sulla necessità di insegnare a 9-10 anni che “una parte del corpo non si tocca”, l’autore solleva il problema: “Se davvero pensiamo che oggi un bambino alle elementari corre questo rischio, allora siamo messi molto male.” Il tono è provocatorio, ma serve a sottolineare che il confine tra prevenzione e ansia è labile.
Alex Corlazzoli, che dichiara di lavorare nelle scuole primarie, ricalibra il piano del discorso: “Sono le paure dei grandi che mettono nella testa dei bambini timori di ogni tipo”, dice. Per lui l’educazione sessuale e affettiva ha senso, ma non quando diventa “una filastrocca sulle parti intime” per alunni molto piccoli. E aggiunge: i bambini “già vivono abbastanza nella paura di tutto”, tra social, amici, schermi; “non vedo per nessuna ragione al mondo la necessità di terrorizzarli.” In sostanza: il messaggio è legittimo, il mezzo forse sbagliato.
Il video della docente internazionale sta spargendo la discussione: da un lato l’elogio perché “il corpo appartiene solo a te, nessuno ti può toccare” — un principio che molti ritengono fondamentale. Dall’altro il dubbio che in Italia – come segnala anche Corlazzoli – l’educazione alla sessualità e all’affettività sia stata trascurata nei programmi scolastici. Crepet e Corlazzoli convergono su una cosa: la responsabilità degli adulti. Ma divergono sul “quando” e sul “come”. Crepet insiste sull’equilibrio fra gioco e allarme; Corlazzoli sul fatto che l’educazione non deve anticipare paure non vissute. Alla fine, la scuola, gli insegnanti e i genitori si trovano a gestire una sfida: far sì che i bambini imparino a dire “no”, senza che ogni canzone diventi un allarme anticipato. E che il diritto al corpo e il consenso vengano insegnati senza che l’infanzia diventi un campo di battaglia emotiva.
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