C’è impegno ed energia nelle piazze, quelle pacifiche, per la flottilla diretta verso Gaza, e soprattutto tra i giovani si intravede quella che Paolo Crepet definisce “uno squarcio di energia in un mondo che sta diventando sempre più piatto”. Ma dietro all’entusiasmo, lo psichiatra mette in guardia: attenzione a non confondere l’impegno civile con la violenza gratuita, “perché se la risposta è violenta, allora è la stessa minestra rigirata”.
Crepet legge questo momento dentro un contesto più ampio: “Trent’anni fa non avrei mai pensato di arrivare al 2025 con così pochi diritti tra i cittadini della Terra“. Una riflessione che lega guerre e conflitti alla perdita di spazi di libertà. Non solo per colpa delle tirannie visibili, ma anche di una nuova forma di dominio: “pensare è diventato una cosa per privilegiati“, dice, indicando nella tecnologia digitale la causa di un’omologazione culturale sempre più soffocante.
Un altro punto riguarda la fine del confronto tra sistemi. “È finita questa gara” tra capitalismo e comunismo, osserva Crepet, e con essa “l’incentivo a offrire più libertà, più benessere, più diritti“. Oggi restano democrazie “a macchia di leopardo“, mentre il resto del pianeta è segnato da autocrazie o da sistemi che scoraggiano chi prova a parlare “di diritti dell’uomo“, considerati temi divisivi.
Sul fronte mediorientale, Crepet non liquida con cinismo i piccoli gesti. Così legge la telefonata di Netanyahu all’emiro del Qatar dopo il raid su Doha: “chiedere scusa di un bombardamento mi sembra civiltà“. Non una svolta epocale, ma un passo che “di per sé è una cosa giusta” e che va preso sul serio, perché in politica internazionale i segnali contano quanto i trattati.
Infine, l’appello diretto alle piazze: “Se qualcuno prova orrore per un esercito che spara sui bambini a Gaza, bene: la risposta è non violenta“. La lezione è quella di Gandhi e Mandela, “che hanno cambiato il mondo con la pace, non spaccando le vetrine delle banche“. Manifestare è un diritto, ricorda Crepet, ma non a costo di colpire i più deboli: “Bloccare un treno di un povero pendolare… se questo non la chiamate violenza allora la pensiamo in maniera diversa“.
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