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“Su Kirk lo stesso trappolone mediatico di Berlusconi, vi spiego perché” ▷ Con Maddalena Loy

L’assassinio di Charlie Kirk non ha acceso soltanto il dibattito sulla violenza politica, ma anche sulle modalità con cui media e opinionisti costruiscono narrazioni che colpiscono le persone oltre i fatti. Maddalena Loy, ai microfoni di Un Giorno Speciale, ha sottolineato come la vicenda rifletta un meccanismo già visto in passato: la cosiddetta character assassination, lo stesso che per decenni ha accompagnato la figura di Silvio Berlusconi. Al centro non c’è solo l’omicidio, ma la costruzione di un’immagine pubblica distorta, utile a giustificare reazioni estreme e a orientare l’opinione pubblica.

Il caso Odifreddi e la mancanza di pietas

La polemica si è accesa dopo le parole del matematico Piergiorgio Odifreddi, che in tv ha distinto tra “morti di serie A” e “morti di serie B”, sostenendo che Kirk non fosse paragonabile a figure come Martin Luther King. Per Loy, questo atteggiamento rappresenta innanzitutto “una mancanza di pietas”: ridurre l’uccisione di un giovane a un dettaglio trascurabile significa oltrepassare la soglia del confronto politico e negare un principio basilare di umanità.

L’arma della character assassination

Il punto centrale dell’analisi è la strategia di demolizione morale applicata a Kirk poche ore dopo la sua morte. Media e opinionisti, spiega Loy, lo hanno immediatamente etichettato come “omofobo”, “suprematista bianco”, “razzista”. Un processo di etichettatura che non lascia spazio alla verifica, ma crea un “mostro” funzionale a legittimare l’odio. In realtà, ricorda la giornalista, in più interventi pubblici Kirk aveva respinto posizioni discriminatorie, arrivando persino a correggere sostenitori che proponevano slogan anti-gay: “Queste cose non le voglio sentire”, aveva detto, richiamando al messaggio inclusivo del Vangelo.

L’eco con il caso Berlusconi

Loy legge in questa dinamica un copione già visto in Italia. Negli anni di Silvio Berlusconi, la character assassination ha rappresentato uno strumento di lotta politica: per vent’anni, afferma, si è costruito un clima d’odio sistematico contro di lui, salvo poi rivalutarne la figura a posteriori. Un meccanismo che, pur tra differenze di contesto, oggi sembra ripetersi con Kirk: la costruzione di un “nemico pubblico” attraverso l’uso distorto dei media.

Il clima d’odio come terreno comune

Ciò che emerge, dunque, non è soltanto la vicenda personale di Kirk, ma un quadro più ampio: il ritorno di un clima d’odio che trasforma il dissenso in delegittimazione totale. Per Loy, il fatto che la stampa e gli opinionisti contribuiscano a questo processo è un segnale allarmante, perché diffonde l’idea che esistano vite di minor valore e parole che meritino la morte. “La character assassination è un’arma violenta”, conclude, e come tale non colpisce solo il singolo, ma mina le basi stesse della convivenza democratica.

Fabio Duranti

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