Una narrazione sempre più compatta, centralizzata e “funzionale al potere”. È questa la visione del sistema mediatico che emerge dall’intervento congiunto di Martina Pastorelli e Diego Fusaro, ai microfoni dello stesso Fusaro. Un dialogo che non si limita a una denuncia della crisi dell’informazione, ma che descrive con toni netti la trasformazione della stampa in un apparato di legittimazione simbolica. E in una trincea contro il dissenso.
Tra emergenze perenni, percezione manipolata e informazione convertita in strumento ideologico, Pastorelli e Fusaro offrono un ritratto distopico di un’epoca in cui “è vero solo ciò che appare” e dove chi non si allinea viene marginalizzato.
Secondo Martina Pastorelli, il punto di rottura è stato il periodo pandemico. “Quel momento”, afferma, “ha segnato il funerale del giornalismo”. A suo avviso, i media mainstream hanno abdicato alla loro funzione critica per trasformarsi in “megafoni del potere”, scatenando una “guerra cognitiva contro i cittadini”. Una manipolazione profonda della percezione pubblica, che avrebbe ridefinito radicalmente la realtà condivisa: “Usare in questo modo la comunicazione significa spegnere le menti, impedire che ci si facciano domande”.
Pastorelli denuncia un sistema informativo pagato per essere compatto, citando il caso dell’Unione Europea che, a suo dire, finanzierebbe media “per promuovere più Europa”. Così, prosegue, “chi non si piega viene tacciato di diffondere fake news”.
La lente filosofica di Diego Fusaro analizza il contesto in maniera critica e approfondita. L’informazione, afferma il filosofo, “non è affatto neutra”, ma espressione diretta dei rapporti di forza dominanti. “È evidente”, prosegue, “che siamo dentro un monopolio informativo che legittima un solo modello di esistenza: quello occidentale, che si presenta come l’unica via possibile”.
Secondo il filosofo, i cosiddetti “professionisti dell’informazione” sono una casta investita del diritto esclusivo di parola, che serve a delegittimare ogni voce esterna. “La violenza del sistema capitalistico contemporaneo è anche una violenza simbolica”, osserva, che si esercita “non solo con l’economia, ma con le idee, con le parole”.
Nel 2020 l’inizio del declino. Da lì in poi, osserva Fusaro, si sarebbe instaurato uno stato d’emergenza permanente, che si manifesta oggi non solo attraverso il linguaggio della pandemia, ma anche tramite quello climatico, energetico, bellico. Emergente e funzionale, questa retorica serve, secondo lui, a sospendere la democrazia e a legittimare un “ordine duro e radicale”.
Si tratta, afferma, di un potere simbolico, nel senso teorizzato da Pierre Bourdieu, che agisce per generare consenso “tra coloro che avrebbero tutto l’interesse a dissentire”. Il risultato? Uno scenario in cui “gli ultimi si muovono con le mappe funzionali ai primi”.
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