La Lazio si presenta alla seconda di campionato con più dubbi che certezze. La sconfitta di Como ha lasciato il segno, non tanto e non solo per il risultato, quanto per l’atteggiamento con cui la squadra di Sarri ha affrontato la partita. L’immagine emersa è quella di una squadra spenta, poco aggressiva, incapace di reagire nei momenti chiave. L’approccio morbido, la mancanza di combattività e concentrazione hanno ricordato la Lazio fragile e insicura che lo scorso inaugurò la crisi di risultati di metà stagione. Non un semplice passo falso, dunque, ma un campanello d’allarme su un atteggiamento che sembra radicato nella mentalità del gruppo.
In estate la Lazio aveva dato segnali incoraggianti sul piano dell’agonismo e della capacità di soffrire. A Como, invece, tutto è crollato: episodi determinanti, certo, e meriti della squadra lombarda, ma la sensazione più forte è che i biancocelesti abbiano spento la luce troppo presto, senza riuscire a rimanere aggrappati alla partita.
A preoccupare non è solo il campo, ma anche l’ambiente intorno alla squadra. Sii è passati a un clima da caccia alle streghe: critiche al ds Fabiani, al presidente Lotito, alla società per la gestione dei giovani (con il caso Floriani Mussolini diventato paradossalmente un nuovo capo d’accusa), fino alle polemiche sul rinnovo di Gila. Errori e mancanze ci sono, ma il rischio è che un contesto già fragile diventi tossico, amplificando ogni difficoltà.
Il calendario non aspetta: oggi all’Olimpico arriva il Verona e la Lazio non può permettersi un altro blackout. La partita diventa subito un crocevia emotivo: più che i tre punti, servirà una reazione di carattere. Dimostrare che la squadra vista a Como non è la vera Lazio, ma solo una parentesi da archiviare.
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