“Siamo l’Inter: se facciamo il nostro, siamo ingiocabili per chiunque“. Forse, tranne per il PSG.
Queste erano state le parole di Mkhitaryan pochi mesi fa, in vista dei sorteggi degli ottavi di Champions League della stagione appena conclusa. Un’annata inizialmente trionfale per i nerazzurri, chiusasi poi nel modo più mesto e inimmaginabile possibile. Dal sogno triplete all’umiliazione in finale di Coppa contro i francesi del Paris Saint-Germain, vera rivelazione di quest’anno e strafavorita anche nell’ultimo atto dei mondiali americani contro il Chelsea.
L’ilarità dei tifosi milanisti e juventini è più che normale e giustificata: una sconfitta di tale proporzioni è una macchia che resterà per sempre nella storia dei loro acerrimi rivali. Ma, “dando una botta al cerchio e uno alla botte” (come direbbe un perfetto valdostano…), c’è anche da dire che, nel calcio di oggi, troppo raramente si dà il giusto merito agli avversari. E a volte, la spiegazione dietro a certi risultati è molto più semplice del previsto.
Il PSG era maledettamente più forte dell’Inter. Punto e basta. Niente fallimenti o tradimenti alla maglia. E i numeri lo stanno a confermare.
In Francia ormai, tranne rarissime eccezioni, il Paris Saint-Germain domina incontrastato da anni. E quest’anno non è stato diverso:
Ma la vera novità legata al club è stata ovviamente il primo e inedito trionfo in campo continentale, culminato nella roboante goleada rifilata all’Inter di Simone Inzaghi, appunto. Un qualcosa di davvero sorprendente: sia per le modalità con cui è arrivato, che per le particolari circostanze di questa stagione.
Dopo aver passato a fatica la prima fase, infatti, i parigini hanno vissuto poi un cammino esaltante, e di costante crescita. Eliminando, nell’ordine, squadre del calibro di Liverpool, Aston Villa, Arsenal e la stessa Inter.
E sull’onda lunga dell’entusiasmo, i rossoblù (ora impegnati nel Mondiale per Club) hanno battuto agevolmente anche il Bayern Monaco e letteralmente umiliato il Real Madrid (la squadra forse più forte degli ultimi anni, se non anche di sempre) con il punteggio di 4-0.
Così, qualora fra due giorni, nel New Jersey, i francesi dovessero superare il Chelsea allenato da Enzo Maresca, recente campione della Conference League, non solo diventerebbero campioni del mondo, ma arriverebbero alla conquista del loro quinto titolo stagionale, dopo la vittoria della Champions League di solo un mese fa. Niente male direi.
Un sogno vero e proprio, per club e tifosi. Un’estasi che, però, ha radici molto profonde e legate a un lavoro e una progettualità che, sulle rive della Senna, i facoltosi sceicchi non avevano mai visto prima.
Osservatore nel Real Madrid di Mourinho; fine scopritore di talenti al Monaco come Mbappé, Bernardo Silva o Fabinho; campione di Francia da direttore sportivo con il Lille nel 2020; e infine depositario delle sorti del PSG nel 2022. Dopo la parentesi anonima della gestione tecnica di Cristophe Galtier, nel 2023 la scelta del manager lusitano per la panchina è una sola, e dal significato ben preciso: Luis Enrique.
Dopo anni di collezione di figurine come i vari Neymar o Messi, e centinaia di milioni buttati basicamente nel cesso, il piano dei due nuovi arrivati va in direzione del tutto opposta: basta con le individualità, si torna a pensare al collettivo e al gioco.
Sul mercato, l’anno scorso, al terzo tentativo di pressing da parte di Florentino Perez, il club non trattiene la sua stella per eccellenza Kylian Mbappé, che si accasa a Madrid con la speranza di replicare le gesta del suo idolo Ronaldo (finora, con scarsi risultati…).
In entrata, in questi 3 anni, si continua comunque a spendere molto (senza mai arrivare alle cifre folli del passato), ma con costrutto: puntando su giovani forti da far crescere o calciatori importanti da rilanciare. Ecco allora i vari Bradley Barcola o Desiré Doué, o l’Ousmane Dembelé di turno.
I due baby fenomeni, arrivati rispettivamente dal Lione e dal Rennes per un totale di 95 milioni di euro, insieme fanno a malapena 42 anni di età. Se si pensa che, in Serie A, uno degli acquisti di punta quest’estate è il quarantenne Luka Modric, il confronto si fa davvero impietoso…
C’è poi il caso dell’ex Dortmund e Barcellona. Sotto la guida del tecnico asturiano, il francese è tornato ai livelli monstre delle prime battute della sua carriera. Tanto che più di qualche addetto ai lavori, ha paventato una sua possibile vittoria del prossimo Pallone d’oro.
Lapalissiano, sì, ma bisogna ricordarlo. I calciatori bravi non bisogna solo saperli scovare, ma anche (e forse soprattutto) allenare. Per questo, non si possono negare i grandi meriti del lavoro di Luis Enrique, troppo spesso etichettato come estremista e “bravo solo con gli squadroni“. Certo, l’ex Roma e Barcellona non sta allenando propriamente una rosa di brocchi, anzi. Ma nessuno meglio di lui avrebbe potuto, probabilmente, ricavare il massimo da questi calciatori.
Allo spagnolo, poi, va riconosciuto il grande pregio dell’adattabilità. Quello che vediamo ora è un tecnico molto diverso da quello più inesperto avevamo conosciuto a Trigoria ormai 14 anni fa.
Tiki Taka e possesso palla? Sì, ma non a oltranza. Il Paris Saint-Germain è infatti tutto meno che una squadra mono-passo, capace di giocare in verticale e facendo del pressing alto forse la sua arma più importante, in modo da facilitare il lavoro dei suoi attaccanti, come l’ex Napoli Kvicha Kvaratskhelia.
Alla luce di tutto questo, per quanto brutta e umiliante, la sconfitta dell’Inter assume un significato diverso: il PSG, probabilmente, era solo troppo più forte e strutturato. E a volte, nel calcio, bisogna solo saper accettare la superiorità dell’avversario.
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