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Lagarde e soci non dormono sonni tranquilli e il motivo riguarda le nostre tasche

L’economia non mostra assolutamente dei segni di ripresa in Europa, con dei dati che indicano una possibile stagnazione o addirittura una nuova crisi, come vi avevo anticipato negli anni scorsi. Il credito alle imprese non finanziarie, come prevedevo da molti anni, è rimasto fermo. A maggio, su base annua, il credito delle banche alle aziende industriali, commerciali e di servizi è diminuito anche su base mensile, un fenomeno che non si verificava da luglio dell’anno precedente.

Stallo del credito e stretta monetaria

Siamo quindi ulteriormente in fase di cosiddetto credit crunch, cioè restrizione creditizia. Questo suggerisce un indebolimento della trasmissione della politica monetaria e una stagnazione della liquidità: cioè la liquidità c’è, ma fatica ad arrivare al mondo delle imprese.

Un’Europa passiva e indecisa

L’incertezza economica, dovuta sia ai dazi statunitensi sia al contesto europeo sempre più passivo, secondo me molto più colpa dell’Europa che non degli Stati Uniti — o meglio dell’Unione Europea, che ci governa — sta spingendo imprese e consumatori a ritardare piani e evitare nuovi indebitamenti.

Dipendenza commerciale dagli USA

Morgan Stanley prevede un rallentamento della crescita europea nella seconda metà del 2025. Ci sarebbe da ridere per non piangere? Qualcuno potrebbe fare come battuta: “Ma rallentare più di così si può?”
Beh, pare di sì, perché si evidenzia come un quarto del fatturato europeo sia generato dagli Stati Uniti. Questo rende l’economia europea ancora più vulnerabile alle decisioni commerciali degli USA.

Una politica industriale, non militare

Di fronte a questa inerzia, l’economia europea, definita zombie, potrebbe richiedere nuovamente misure estreme come il whatever it takes, cioè la frase che disse Draghi molti anni fa, quando era presidente della BCE, per evitare un collasso.
Ecco, io credo che ormai non sia più questione di alchimie finanziarie, ma una questione di ristrutturazione decisa dell’Europa verso nuovamente il tessuto industriale. Ma per fare cose buone, non armi.
Questo lo preciso in modo chiarissimo, perché sono un pacifista e non credo assolutamente che quella sia la strada giusta.
Ritengo invece che sia stata esattamente la strada erronea e sbagliata: avere per decenni dimenticato di sostenere gli imprenditori, le fabbriche, le cose che producono per i consumatori.

Valerio Malvezzi

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