Tra bandiere arcobaleno e slogan di piazza, i Pride italiani sembrano sempre più campo di battaglia politica. La manifestazione che nacque per rivendicare diritti oggi è accusata da più parti di aver smarrito la sua forza inclusiva. A lanciare l’allarme è Tommaso Cerno ai microfoni di Lavori in Corso, direttore de Il Tempo ed ex senatore, che invita a distinguere tra militanza civile e militanza partitica.
Per Cerno, il problema è l’identificazione politica del Pride: non più spazio di libertà per tutti, ma vetrina ideologica. “La battaglia per i diritti civili è diventata una corrente barricadera della sinistra”, afferma. Una trasformazione che, secondo lui, snatura il senso originario delle manifestazioni, nate per rompere l’isolamento e chiedere pari dignità, non per fare da eco a simboli e sigle di partito.
Oltre alla politicizzazione, il direttore denuncia una deriva radicale nei toni e nei contenuti. “Ho visto un Pride dell’odio”, dice, riferendosi a slogan e immagini violente contro chi non si allinea. “La morte dell’avversario è diventata la finalità”, aggiunge, criticando la scelta di bersagli politici e religiosi spesso generalizzati, che finirebbero per allontanare invece di includere. Una spirale di polarizzazione che, a suo dire, tradisce lo spirito del Pride.
“È passata l’idea che un omosessuale che non vota PD sia un traditore, un fascista”, denuncia Cerno. Una semplificazione pericolosa, che trasforma una questione identitaria in una trincea ideologica. Il diritto di voto, sottolinea, è parte integrante dell’uguaglianza: “Una volta che l’uguaglianza è conquistata, devi poter votare chi vuoi”. Se questo non è più possibile, chiosa con sarcasmo, “non chiamatelo Pride, ma congresso”.
L’invito finale è a recuperare il vero significato del Pride: inclusione, non appartenenza. “Consiglio una lunga seduta psichiatrica a chi crede che la libertà si misuri col tasso di odio verso chi la pensa diversamente”, dice provocatoriamente. Al centro, secondo Cerno, ci dev’essere di nuovo la battaglia per i diritti civili, slegata da logiche di schieramento. Solo così, conclude, il Pride potrà tornare a essere una festa di tutti, non un test di fedeltà politica.
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