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Attualità

Terre rare, lo scontro USA-Cina è già iniziato: cosa sono e perché l’Italia non può stare a guardare

Nel silenzio di chi guarda solo alla superficie, nel nostro sottosuolo si sta riaccendendo una partita decisiva. In Italia, la corsa alle terre rare e alle materie prime strategiche non è solo una questione industriale: è una delle sfide geopolitiche più rilevanti del nostro tempo.

Il motivo? La Cina, che detiene circa il 70% delle riserve mondiali di questi materiali, sta chiudendo i rubinetti. “Chi le vuole, deve pagarle care”, è il messaggio non detto di Pechino. E non è finita: la Repubblica Popolare produce oggi il 90% dei magneti a base di terre rare a livello globale, “con quote di esportazione che coprono fino al 50% del loro fatturato complessivo”. In risposta ai dazi statunitensi, la Cina ha avviato un piano di restrizioni alle esportazioni che minaccia gli equilibri economici mondiali.

Non si parla di semplici dettagli, o cose di poche conto. Le terre rare sono infatti un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (tra cui il neodimio, il lantanio, il cerio e il disprosio) sempre più essenziali per la produzione di tecnologie avanzate. Nonostante il nome, non sono particolarmente “rare” in natura, ma sono difficili da estrarre in forma pura perché si trovano in concentrazioni molto basse e spesso mischiate ad altri minerali. Questi elementi sono strategici perché indispensabili per la realizzazione di dispositivi elettronici (smartphone, computer, batterie), tecnologie green (pannelli solari, turbine eoliche), sistemi di difesa avanzati, auto elettriche e magneti ad alte prestazioni.

Di fronte a questo scenario, gli Stati Uniti e l’Unione Europea si stanno muovendo per recuperare sovranità economica e industriale. E l’Italia? Dopo quarant’anni di stop estrattivo, non può più permettersi di rimanere a guardare.

Terre rare, una priorità strategica per l’Europa (e per l’Italia)

Le terre rare sono indispensabili per tutto ciò che è futuro: dalla transizione energetica ai sistemi di difesa avanzati, passando per microchip, batterie, aerospazio e tecnologie green. Proprio per questo, ogni crisi geopolitica diventa una minaccia concreta alla continuità industriale dell’Unione Europea, che oggi è fortemente dipendente da fornitori esterni come Cina, Russia e Stati Uniti.

Eventi naturali, guerre, incidenti o semplici scelte protezionistiche potrebbero interrompere l’accesso alle materie prime in qualsiasi momento. Ecco perché Bruxelles ha individuato una priorità assoluta: la ricerca di giacimenti domestici.

Il ritorno al sottosuolo: nasce il Programma Nazionale di Esplorazione

Proprio in risposta a questa urgenza è nato il Programma Nazionale di Esplorazione (PNE), il primo progetto italiano in grado di “guardare di nuovo al proprio sottosuolo”. Un piano quinquennale, il cui primo anno è stato finanziato con 3,5 milioni di euro, dedicato a “uno screening completo delle potenzialità minerarie nazionali”.

Come ha spiegato il Dr. Fiorenzo Fiumanti, responsabile per le geo-risorse dell’ISPRA, “non si tratta di aprire cento miniere, come si è letto in alcune semplificazioni giornalistiche, ma di fornire dati e analisi di base per attrarre investimenti privati nel settore”. L’obiettivo? Dare vita a un ecosistema minerario moderno, sostenibile e conforme agli standard europei.

ISPRA al centro della sfida

Il cuore operativo di questo piano è proprio l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). L’ingegnere Daniele Spizzichino, responsabile dell’Area Geo-RIS, ha chiarito che l’Istituto è coinvolto su due fronti: da una parte con il PNE, dall’altra con il programma PNRR URBES, che mira alla “caratterizzazione dei rifiuti estrattivi” e alla valorizzazione del residuo delle attività minerarie passate.

Due facce della stessa medaglia: esplorazione e recupero, con l’obiettivo di dare un senso compiuto a un approccio moderno all’economia circolare anche nel settore minerario.

Terre rare, in Italia quello minerario è un ecosistema da ricostruire

Ma questa sfida non si gioca solo in laboratorio o sottoterra. Come ha ricordato Fiumanti, “riattivare un ecosistema minerario significa far ripartire tutto ciò che ruota attorno alle risorse del sottosuolo”: formazione tecnica e universitaria, filiere industriali, coinvolgimento delle comunità locali, nuova imprenditoria.

“È la base di quello che potremo fare nei prossimi 10-15 anni”, ha sottolineato, indicando una visione di lungo periodo in cui l’Italia possa non solo recuperare terreno ma diventare attore strategico nella produzione e trasformazione delle materie prime.

La sovranità industriale passa dalle viscere della terra

Nel grande scacchiere globale delle risorse critiche, l’Italia ha finalmente iniziato a muovere un primo, concreto passo. Le terre rare non sono più un lusso, ma una necessità. In gioco c’è la capacità del Paese di partecipare in modo attivo a una nuova guerra economica globale, che si gioca tra cave, miniere, laboratori e strategie nazionali.

La domanda, ora, non è più se possiamo permetterci di restare fermi. Ma quanto ci costerà, in termini di dipendenza e ritardo, farlo ancora.

Francesco Vergovich

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