Lo spread – per anni vero e proprio spauracchio economico e protagonista indiscusso delle cronache politiche – è tornato a livelli minimi, ma il dato sembra essere passato del tutto inosservato. Nessun titolo d’apertura, nessun allarme, nessun bollettino quotidiano. Una situazione che ha spinto il senatore della Lega Claudio Borghi a intervenire pubblicamente, sollevando una questione tanto semplice quanto scomoda: “Perché oggi che lo spread crolla, non ne parla più nessuno?”
Il tema è stato affrontato in diretta su “Lavori in Corso”, dove Borghi ha criticato aspramente quella che definisce una narrazione selettiva e strumentalizzata del dato economico. La polemica arriva in un momento delicato: mentre il differenziale tra Btp e Bund tedeschi è ai minimi dal 2007 (84,8 punti), i titoli di Stato italiani rendono meno di quelli francesi a 2 e 5 anni. Un sorpasso storico, eppure – osserva Borghi – ignorato quasi completamente in Italia.
“Quando lo spread saliva – ricorda Borghi – ogni telegiornale apriva con l’allarme, con titoli drammatici come ‘Fate presto!’. Era diventato una forma di terrore quotidiano. Ora che il dato è positivo, tutto tace. Come mai?”
L’accusa è chiara: la narrazione dello spread sarebbe stata usata a fasi alterne, secondo la convenienza politica del momento. “È stata un’arma – continua Borghi – usata per demolire governi scomodi e imporre agende economiche. Quando serve terrorizzare l’opinione pubblica, lo spread esiste. Quando invece potrebbe dare una lettura favorevole, scompare”.
Il paradosso che Borghi sottolinea riguarda soprattutto la comparazione con la Francia. I titoli italiani a 2 e 5 anni oggi rendono meno di quelli francesi, segnale evidente che i mercati ritengono Roma più affidabile di Parigi nel breve periodo. Una notizia che in Francia ha occupato le prime pagine dei quotidiani economici – come Les Echos – ma che in Italia ha avuto ben poco spazio.
“In Francia sono furiosi, da loro è considerata una notizia enorme – afferma Borghi – Ma da noi? Silenzio assoluto. Nessuno ne parla. Nemmeno la Rai. Altro che ‘TeleMeloni’…”
Il senatore rievoca anche momenti cruciali della politica italiana legati allo spread: “Abbiamo avuto due governi tecnici giustificati con l’allarme spread. Quando era sopra quota 500 nessuno muoveva un dito, fino a quando la BCE decise di intervenire solo dopo la caduta di Berlusconi. Allora arrivò Draghi con il suo famoso ‘Whatever it takes’. Stranamente, da quel momento lo spread calò”.
Borghi ricorda anche un esempio emblematico: “Vi ricordate quando si parlava della ‘Papi’s Tax’? Uno studio pseudo-scientifico attribuiva allo spread italiano il costo della presenza di Berlusconi. Una follia totale, ma che veniva spacciata come verità accademica”.
Il senatore respinge l’idea che il basso spread attuale sia merito delle istituzioni europee: “La verità è che oggi il nostro spread è basso per merito nostro, non della BCE. Non possono farlo salire artificialmente, anche se qualcuno lo vorrebbe. I fondamentali italiani sono migliorati, ed è questo che pesa sui mercati”.
E aggiunge: “La Francia va male, la Germania è in affanno, noi sembriamo più solidi. Non è solo fortuna, è anche frutto di buone scelte economiche. Eppure questo risultato viene ignorato o minimizzato”.
Il vero bersaglio di Borghi, in fondo, non è lo spread, ma il modo in cui viene raccontato: “L’informazione mainstream è in mano alla sinistra – afferma – e usa i dati economici come strumenti di pressione. Quando possono servire a spaventare, li sbattono in prima pagina. Quando raccontano un successo, allora meglio non parlarne”.
Lo spread è crollato, ma l’allarme è sparito. Non perché il problema non esista più, ma perché ora non fa più comodo raccontarlo. Questo, secondo Claudio Borghi, è il segnale più evidente di un’informazione non imparziale, che si muove a seconda delle convenienze politiche del momento.
Una riflessione che interroga non solo il mondo della finanza, ma anche quello – oggi sempre più decisivo – della comunicazione e della narrazione pubblica.
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