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Tutte le verità scomode che si nascondono dietro il naufragio dei referendum

Il risultato era ampiamente prevedibile: il referendum sul lavoro non ha raggiunto il quorum. Ma dietro il dato numerico si nasconde una riflessione più profonda sul cinismo politico e sull’ipocrisia trasversale, tanto a destra quanto a sinistra. E intanto, i diritti sociali continuano a essere sacrificati sull’altare del consenso.

Una sconfitta su tutta la linea

Alla fine, come era ampiamente prevedibile, il referendum è naufragato miseramente. Vince indubbiamente la destra neoliberale, che da subito aveva tifato per l’astensione. Ma vince, a ben vedere, anche la sinistra neoliberale, la quale – va detto – non ha alcun interesse reale per il tema del lavoro e ha indetto questo referendum, ora fallito, soltanto per guadagnare consensi, senza impegnarsi realmente in alcun modo. D’altronde, quando era al governo e poteva realmente tutelare il lavoro, non solo non l’ha fatto, ma ha spietatamente colpito lavoratori e diritti sociali, superando in questo, per certi versi, persino la destra stessa.

Argomentazioni disperate, quorum mancato

Si sono mobilitate le argomentazioni più disparate – e talvolta anche più disperate – per rendere conto dell’esito, peraltro prevedibile, del referendum, che non ha raggiunto il quorum. L’affluenza alle urne si è attestata sul 30%. C’è chi ha parlato della naturale apoliticità degli italiani, ma, a giudizio di chi vi sta parlando, è un argomento poco persuasivo, considerato che in altre occasioni gli italiani si sono mobilitati in massa, come avvenne nel referendum del 2016 contro la nefanda proposta di modifica costituzionale voluta dal tosconichilista Matteo Renzi. C’è poi chi ha evocato la categoria dell’egemonia politica esercitata dal giullaresco governo della destra bluet neoliberale di Giorgia Meloni, sempre più genuflesso a Washington, Israele e al sistema bancario. Ma anche questo argomento non risulta, fino in fondo, persuasivo.

Gli stessi volti, la stessa ipocrisia

La verità, a giudizio di chi vi sta parlando, sta altrove. Il fallimento su tutta la linea di questo referendum si spiega con il fatto che chi lo ha proposto è stato in passato responsabile delle più infauste riforme del lavoro, o meglio, contro-riforme del lavoro, e delle più radicali aggressioni al mondo dei lavoratori e dei loro diritti fondamentali. Non è un mistero, davvero. Gli stessi che hanno abolito l’articolo 18 e introdotto l’infame Jobs Act, celebrando quell’Unione Europea che rappresenta de facto un massacro di classe sotto ogni riguardo, sono gli stessi che ora hanno indetto il referendum in difesa del lavoro. E, oltretutto, vi hanno inserito anche il cavallo di Troia della cittadinanza allargata.

La logica del “todos caballeros”

Perché, domandiamo socraticamente, se tanto tengono al lavoro, lo difendono ora, che concretamente non possono fare nulla, e lo distruggono quando sono al governo e potrebbero realmente agire? Diciamolo apertis verbis, azzardando un’ipotesi che non ci pare affatto remota: se anche si fosse raggiunto il quorum e avesse prevalso il sì su tutta la linea, nulla si sarebbe poi fatto in difesa del lavoro. Come del resto nulla si fece per l’acqua pubblica nel 2011, quando vinse il sì contro le privatizzazioni. Il Capitale si sarebbe, ça va sans dire, opposto in ogni maniera, per difendere i propri interessi contro quelli dei lavoratori. Sarebbe invece sicuramente passato il piano dell’allargamento della cittadinanza: questo sì, graditissimo al Capitale, che non vede l’ora di diluire ancora di più i già risicati diritti sociali superstiti, secondo la ben nota logica del “todos caballeros”. Questo, a nostro giudizio, è il punto fondamentale da fissare bene nella mente.

RADIOATTIVITA’ – LAMPI DEL PENSIERO QUOTIDIANO CON DIEGO FUSARO

Diego Fusaro

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