Un nuovo rapporto scuote le fondamenta del dibattito europeo sull’informazione: “Brussels’s Media Machine”, pubblicato da MCC Bruxelles e firmato dal giornalista e ricercatore Thomas Fazi, getta una luce inedita e inquietante sul sistema con cui l’Unione Europea finanzia ogni anno i media in Europa e oltre, per una cifra che sfiora gli 80 milioni di euro. Dietro la retorica del sostegno alla libertà di stampa, il rapporto sostiene che si nasconda una strategia sistematica volta a promuovere narrazioni favorevoli all’UE, marginalizzando le voci critiche e sollevando interrogativi profondi sull’indipendenza editoriale e sulla qualità della democrazia europea.
Fazi documenta come questi finanziamenti, spesso presentati come strumenti per il contrasto alla disinformazione o la promozione dell’integrazione europea, siano in realtà orientati a plasmare il dibattito pubblico e a rafforzare la legittimità delle istituzioni di Bruxelles. Il meccanismo, secondo il rapporto, crea una relazione “semi-strutturale” tra l’UE e i principali media, in particolare le emittenti pubbliche e le grandi agenzie di stampa. Questi attori diventano così i principali vettori delle narrazioni pro-UE, con un effetto a cascata su centinaia di testate che si affidano ai loro contenuti.
Un esempio emblematico è il programma IMREG, che dal 2017 ha canalizzato circa 40 milioni di euro verso media e agenzie per la produzione di contenuti che esaltano i benefici delle politiche europee. Spesso, però, questi finanziamenti non sono chiaramente dichiarati, trasformando il giornalismo in una forma di “propaganda occulta” o “stealth marketing”. Il rapporto cita casi italiani, come i contributi a Il Sole 24 Ore e La Repubblica, dove gli articoli finanziati dall’UE non riportano in modo trasparente la fonte del sostegno economico.
Non si tratta solo di informazione positiva: il rapporto denuncia anche l’uso dei fondi per rafforzare il controllo del discorso pubblico, attraverso iniziative come l’Osservatorio europeo dei media digitali (EDMO), che con almeno 27 milioni di euro coinvolge media e agenzie in reti di fact-checking e monitoraggio della disinformazione. Secondo Fazi, il rischio è che la definizione stessa di “disinformazione” venga piegata agli interessi istituzionali, finendo per etichettare come fake news ogni voce dissidente o euroscettica.
Anche il Parlamento Europeo è protagonista di questa macchina della comunicazione: dal 2020 ha destinato quasi 30 milioni di euro a campagne mediatiche, spesso di natura esplicitamente auto-promozionale, soprattutto in vista delle elezioni. L’obiettivo dichiarato è “aumentare la legittimità democratica” delle istituzioni europee, ma per Fazi si tratta di una legittimità costruita artificialmente, non di un consenso spontaneo e genuino.
Il rapporto, che si basa su un’analisi dettagliata dei bilanci europei e su numerosi casi studio, arriva a una conclusione netta: l’UE sta investendo sistematicamente per costruire un ambiente mediatico “amico”, che rafforzi la propria agenda politica e limiti la capacità dei media di svolgere il loro ruolo di cane da guardia del potere. Fazi lancia un appello per una “resa dei conti pubblica” e per una netta separazione tra potere politico e informazione, affinché il giornalismo possa tornare a essere davvero indipendente e al servizio dei cittadini.
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