RAMY, UN IMMIGRATO, CARLO LEGROTTAGLIE, UN CARABINIERE. COSA CAMBIA? – Carlo Legrottaglie, brigadiere capo dell’Arma, è morto all’alba a Francavilla Fontana, nel Brindisino, durante un inseguimento dopo una rapina. Era l’ultimo giorno di servizio prima della pensione. Viveva a Ostuni, aveva due figlie. Un uomo che stava per lasciare la divisa, colpito a morte da un proiettile sparato da chi stava inseguendo.
L’auto dei rapinatori, una Lancia Y scura, è stata intercettata dai carabinieri. Dopo un inseguimento rocambolesco nelle campagne, i rapinatori sono scesi e hanno aperto il fuoco. Legrottaglie ha risposto, colpendo uno dei malviventi. Poi è caduto. Uno dei due arrestati è morto poco dopo in ospedale. L’altro è ora sotto interrogatorio.
Una scena drammatica. Ma “stranamente”, nessuna manifestazione, nessuna veglia, nessun hashtag.
In diretta su “Lavori in Corso”, Boni Castellane è intervenuto con parole che non lasciano spazio ad ambiguità. Paragonando l’omicidio di Legrottaglie al caso di Ramy, morto a Milano durante un inseguimento, ha detto: “Nel caso di Corvetto c’è stata non solo un’insurrezione civile, ma anche intellettuali e opinionisti che hanno criticato l’operato delle forze dell’ordine. Persino l’ex capo della polizia Gabrielli disse che l’inseguimento era stato fatto male.”
Ma in questo caso, chiede Castellane: “Perché non si muove nessuno? Perché nessuno denuncia l’inaccettabilità di un carabiniere ucciso mentre faceva il suo dovere, il suo ultimo giorno di lavoro?”
Il punto, secondo Castellane, è chiaro: “Due fatti quasi identici: inseguimento, spari, un morto. Nel primo caso muore il ragazzo e nasce un movimento sociale. Nel secondo muore un carabiniere e cala il silenzio. Perché?”
La risposta sta in una logica ideologica: “Nel primo caso l’inseguito era un immigrato, quindi la narrazione era utile: il povero ragazzo ucciso dalle forze dell’ordine cattive. Nel secondo caso no. Il carabiniere stava solo lavorando. Allora la sua morte non serve a nessuno.”
Per Castellane si tratta di una strumentalizzazione politica sistematica: “In quel caso si parlava di una categoria sociale che si voleva difendere, quindi si è costruita una narrazione. Qui no. Qui ci si limita a dire: è morto un carabiniere. Sono cose che capitano.”
L’intervento di Castellane è stato anche una critica feroce al modo in cui il reato viene minimizzato in certi ambienti: “Ho sentito dire da certi intellettuali che se un immigrato spaccia è solo una questione di piccola droga, nulla di grave. Che è solo disagio sociale.”
E rilancia: “In nome di questo disagio, se uno non si ferma all’alt della polizia bisogna lasciarlo andare. Lo ha detto anche Sansonetti: la vita viene prima dell’ordine pubblico. Ma allora, quando qualcuno spara a un carabiniere, che cosa vale di più? La vita o il silenzio?”
La parte più amara dell’intervento è la denuncia del silenzio attorno alla morte di Legrottaglie. Nessun comitato, nessuna mobilitazione. “Nessuno ha detto: ‘Verità per Carlo’. Nessuno ha acceso un cero. Nessuno si è indignato. Perché un carabiniere morto non può essere martire, non può essere simbolo. Serve solo a dire che in fondo, fare quel mestiere è pericoloso. È andata così.”
E ancora: “Nel caso del ragazzo c’erano comitati, cortei, articoli, accuse. Qui si dice: poveraccio, mancava un giorno alla pensione. Fine. Si chiude lì.”
La conclusione è lapidaria: “Oggi siamo in un clima culturale in cui la verità non è più oggettiva, ma strumentale. Lenin diceva che esiste solo la verità proletaria. Ecco, oggi esiste solo la verità che conviene. Se il fatto può essere usato per attaccare le forze dell’ordine, diventa un caso nazionale. Se no, resta una riga nei giornali.”
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