“Di fronte alla sofferenza umana, l’indifferenza non è solo un fallimento morale: è il segno che stiamo diventando altro. Meno umani. Più simili alle macchine che ci stanno educando a sentire meno, a pensare di più in termini di calcolo. E a voltare lo sguardo, senza provare vergogna”
C’è un video. Si apre con un campo profughi. Bambini coperti di polvere, occhi vuoti, corpi straziati sotto le macerie. È virale su TikTok, ha milioni di visualizzazioni. Cuoricini. Condivisioni. Qualche emoji triste. Poi si scrolla verso la prossima clip: un tutorial di make-up. Tutto normale.
Ecco dove siamo. Ecco il futuro che stiamo costruendo.
Viviamo in un’epoca in cui la tragedia umana si consuma in streaming, tra un algoritmo e l’altro. Dove la morte di un bambino può essere monetizzata da una piattaforma e classificata da un’intelligenza artificiale come “contenuto a elevato engagement”. Il problema non è solo cosa l’IA ci mostra. È cosa ci sta facendo diventare.
Secondo un’inchiesta del Guardian, le AI di moderazione video di piattaforme come Facebook e YouTube hanno fallito ripetutamente nel bloccare la diffusione di contenuti violenti o traumatizzanti. Non solo: spesso li promuovono, perché generano reazioni forti, clic, tempo di permanenza. È un mercato della sofferenza, ottimizzato da codice e numeri.
Nel frattempo, mentre ci abituiamo a scorrere immagini di morte con la stessa meccanicità con cui cerchiamo una ricetta, l’IA continua a perfezionarsi. Analizza le nostre reazioni, impara dai nostri sguardi. E ci restituisce un mondo filtrato: più sensazionale, più crudele, meno empatico.
L’algoritmo non ha cuore. Ma noi?
Uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour ha mostrato che l’eccessiva esposizione a contenuti mediati da AI può ridurre la risposta empatica degli individui, specialmente nei contesti digitali. I giovani che trascorrono molte ore davanti a contenuti generati o selezionati da IA mostrano reazioni emotive più attenuate a immagini di dolore reale.
È questo il transumanesimo? Una progressiva anestesia delle coscienze, dove la sensibilità viene dismessa in favore dell’efficienza? Non più emozione, ma elaborazione dati?
Perché la verità inquietante è che l’IA non ci ha solo rubato il lavoro o riscritto l’informazione. Ci sta insegnando a disinteressarci dell’umano. A trattare la guerra come un “contenuto da rimuovere”. La fame come una “violazione delle linee guida”. La morte come un “problema di copyright”.
E quando cominciamo a guardare bambini morire senza provare un sussulto, quando lo facciamo come si guarda una serie TV, significa che qualcosa si è rotto. O peggio: si è spento.
È in quel momento, e non prima, che il passaggio al post-umano inizia davvero.
Non nei laboratori di Boston Dynamics. Ma nelle nostre emozioni, ormai ridotte a un battito di ciglia davanti allo schermo.
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