La settimana politica è stata segnata da una serie di segnali che, pur apparsi disordinati tra media e dichiarazioni, delineano una strategia più ampia.
Tutto è cominciato con le ipotesi giornalistiche sui potenziali ministri di un futuro governo a guida PD, seguite dall’intervista di Elly Schlein, che ha affermato che il partito è “pronto in caso di elezioni anticipate“. Una dichiarazione che non è solo retorica, ma riflette anche dinamiche interne al partito e nei rapporti con le altre opposizioni. Nel frattempo, Il Foglio ha rilanciato il ruolo di Matteo Renzi, disposto a collaborare anche con Giuseppe Conte “pur di far cadere il governo Meloni”. Si inserisce anche l’analisi di Vittorio Feltri su La Verità, secondo cui Carlo Calenda starebbe costruendo un polo di centro per attrarre i moderati del PD e parte di Forza Italia.
Dietro queste manovre c’è un obiettivo preciso: impedire che al Quirinale, dopo Sergio Mattarella, venga eletto un Presidente della Repubblica con un profilo progressista. Una preoccupazione che molti osservatori collegano al blocco dell’evoluzione politica italiana negli ultimi anni. Da qui l’interrogativo sempre più ricorrente: Forza Italia farà cadere il governo? Fino ad ora confinata ai colloqui privati, l’ipotesi di una crisi di governo sta diventando tema di discussione pubblica. Dal punto di vista strategico, parlarne rafforza paradossalmente l’esecutivo. Renzi, esperto di comunicazione politica, lo sa. E Schlein usa la sua posizione per provare a spostare il baricentro del PD, marginalizzando la vecchia componente “Sinistra DC” e cercando di aprire la strada a una nuova sinistra radicale.
Se questa trasformazione avvenisse, l’alleanza con il M5S avrebbe una base ideologica più solida. Ma è difficile che Schlein ne sia ancora leader a quel punto. Qui torna in gioco Renzi, spesso in anticipo sui tempi, ma consapevole del rischio di caos per l’ala moderata dell’ex Ulivo. Una sinistra centrista che potrebbe subire una frammentazione, ma anche cercare di costruire un nuovo polo. La questione della leadership resta aperta: Renzi è disponibile, ma altri preferirebbero Gentiloni, pur consapevoli che il vero regista sarebbe comunque l’ex premier. Resta da capire se questo centro possa valere elettoralmente il 6% o il 14%: una differenza decisiva.
In questo scenario resta centrale Forza Italia, che non solo non si è dissolta, ma continua a giocare un ruolo chiave, grazie soprattutto a Antonio Tajani, figura capace di mediazione interna e con credibilità internazionale, specie a Bruxelles. Chi ipotizza un suo cambio di campo dovrebbe valutare bene le conseguenze: abbandonare il centrodestra oggi significherebbe rischiare implosioni locali e perdita di peso contrattuale. Le voci su una manovra internazionale per far cadere il governo appaiono poco credibili, in un mondo dove crescono le incertezze geopolitiche. Il futuro della politica italiana dipenderà da variabili come elezioni regionali, referendum, magistratura e alleanze. Se il centrodestra regge in regioni chiave e vince il referendum, una riconferma di Meloni nel 2027 appare molto probabile. In caso contrario, si aprono spiragli per una nuova coalizione. Ma per ora, più che certezze, ci sono segnali. E chi sa leggerli, capisce che la partita è già iniziata.
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